Il partito degli ultimi

In questi giorni mi è capitato di rileggere «il potere dei senza potere» di Vaclav Havel. L’opera, pietra miliare dell’opposizione anticomunista oltrecortina, parla di come uno spettro si fosse diffuso nell’est europeo: il dissenso. L’autore parlava anche della situazione in cui vivevano i sudditi del regime comunista, un regime «post-totalitario» in cui le persone non pensavano esistesse un’alternativa possibile a quel sistema.

Così mi sono chiesto se il messaggio fosse ancora valido, oggi che non c’è più una dittatura e in un Paese in cui una dittatura del proletariato non c’è mai stata. Eppure viviamo in una situazione preoccupante.

Nel 2012 mi candidai a sindaco a Salzano, nel mio paese, perché ero preoccupato della situazione politica locale: un PD che viveva (e vive) di rendita, indipendentemente dall’operato effettivo, che si faceva forza soltanto dell’assenza di un centrodestra di governo a livello locale, impegnato ad accontentare i potentati locali e a bisticciare al suo interno e di un Movimento 5 Stelle che non aveva la forza per presentarsi. Con la speranza di  e di ridare una speranza agli elettori salzanesi assieme a dei miei concittadini creammo una lista civica trasversale, giovane e per niente moderata, perché non aveva paura di dire le cose come stavano. Successivamente continuai nel mio percorso di ricerca di un’alternativa nazional-repubblicana all’offerta politica italiana, creando assieme ad un gruppo di amici Direzione Europa.

Tre anni dopo, la situazione che si era presentata nel mio paese la ritroviamo a livello nazionale: il PD di Renzi può vivere di rendita perché Lega, Fdi, Forza Italia e M5S non garantiscono alternative possibili e credibili. La stampa italiana non è mai stata così omogeneamente filo governativa e il dissenso è consentito solo su questioni secondarie e se condotto in modo che palesi l’impossibilità dell’alternanza di governo tra questa maggioranza e quelle opposizioni. E così gli italiani si troveranno tra due-tre anni a scegliere il “meno peggio” – ma lo immaginate un ballottaggio tra Renzi e Salvini o tra Renzi e Di Maio? -.

Riprendendo Havel potremmo quindi coniare il concetto di “post-democrazia” dove da una parte crediamo quasi di influire nella formazione dei governi e dall’altra invece siamo certi che il risultato delle elezioni sia già segnato. Ma appaltare la democrazia, credendo che non ci siano alternative possibili a questo sistema è un errore. Come nei paesi a democrazia socialista anche in Italia si sta materializzando un sentimento che le élite che ci governano non avevano considerato: il dissenso.

Sia da sinistra che da destra la gente si sta accorgendo che il jobs act non sta dando gli effetti sperati nonostante le belle parole del governo.

Sia da sinistra che da destra la gente si sta accorgendo che l’Italia oggi non conta niente in politica estera, nonostante i focolai di guerra nascano dal mediterraneo e dal medio oriente.

Sia da sinistra che da destra la gente si sta accorgendo che un governo che non ha a cuore le proprie imprese non può prendere decisioni vincolanti su un trattato come il TTIP.

Sia da sinistra che da destra la gente si sta accorgendo che la riforma sommaria della costituzione non può essere portata avanti da un parlamento eletto con una legge elettorale dichiarata incostituzionale.

Il dissenso, insomma, sta crescendo sia a sinistra che a destra, ma questo è solo il primo passo. Per riuscire a creare un’alternativa credibile a questo governo, e per superare quindi questa democrazia bloccata su un partito, l’unico modo è quello di unire le forze. Nella prima fase non conterà la collocazione politica di questa alternativa nazional-repubblicana e non dovrà prendere spunti da esperienze estere; dovrà essere un’alternativa genuinamente nazionale, che abbia il coraggio di riunire le migliori culture politiche italiane: la cultura risorgimentale, l’europeismo di Mazzini e Spinelli, la cultura nazionale della destra politica, il socialismo riformista, il nazionalismo liberale e il cristianesimo sociale solo per citarne alcune. Il collante di queste culture così diverse e complementari sarà l’amore per la Patria e il dissenso a questa politica pressapochista.

Dovrà essere una forza pragmatica, che abbia una visione organica dello Stato e dei suoi organi, che sia consapevole che non si può uscire dall’Euro, che voglia ridare all’Italia il ruolo che le spetta di fondatrice dell’Unione Europea, che sia vicina alla terra e ai suoi prodotti tutelandoli da eventuali trattati che minano la concorrenza leale.

Il nome, ma qui stiamo parlando di fanta politica, lo potrei suggerire, «il partito degli ultimi», come noi di Direzione Europa, gli ultimi che si arrenderanno di fronte a questa italietta.