La Grande Guerra degli Italiani

di Matteo Gaspari

«Caro Nino,

tu forse comprendi od altrimenti comprenderai fra qualche anno quale era il mio dovere d’italiano. Diedi a te, a Libero ad Anita a Italo ad Albania nomi di libertà, ma non solo sulla carta; questi nomi avevano bisogno del suggello ed il mio giuramento l’ho mantenuto. Io muoio col solo dispiacere di privare i miei carissimi e buonissimi figli del loro amato padre, ma vi viene in aiuto la Patria che è il plurale di padre, e su questa patria, giura o Nino, e farai giurare ai tuoi fratelli quando avranno l’età per ben comprendere, che sarete sempre, ovunque e prima di tutto italiani! I miei baci e la mia benedizione. Papà. Dà un bacio a mia mamma che è quella che più di tutti soffrirà per me, amate vostra madre! e porta il mio saluto a mio padre. »

(Nazario Sauro, Venezia, 20 maggio 1915 – Lettera testamento ai figli)

 

Quest’anno l’Italia ricorda il centenario della partecipazione alla Prima Guerra Mondiale e in tutta la Penisola sono state organizzate mostre, convegni e manifestazioni per ricordare l’evento. Ma è possibile festeggiare o comunque ricordare come un avvenimento positivo, la partecipazione a una guerra che ha causato la morte di quasi 600.000 italiani?

Analizzando i profondi cambiamenti che ha portato con sé la Grande Guerra, credo che la nostra partecipazione al conflitto bellico, per quanto dolorosa, sia stata una tappa fondamentale per il completamento dell’Italia, sia da un punto di vista territoriale ma soprattutto come senso di appartenenza a un’unica nazione da parte dei cittadini.

 

Ricordiamo la nostra entrata in guerra con dieci mesi di ritardo rispetto agli altri paesi europei. Per dieci mesi, infatti,  l’Italia rimase neutrale per motivi logistici e politici. Il nostro Paese era da poco tempo uscito vittorioso dalla Guerra Italo-Turca per il controllo della Tripolitania e della Cirenaica, ma il conflitto aveva eroso ingenti quantità di risorse. L’apparato militare italiano era impreparato per affrontare una guerra moderna, basti pensare solo alla mobilitazione per il fronte che occupò quarantatré giorni invece dei previsti ventitré. Dal punto di vista politico l’Italia era divisa tra interventisti e neutrali: i primi erano una minoranza, ma potevano contare sull’appoggio di influenti quotidiani come “Il Corriere della Sera”, “Il Secolo” e “Il Popolo d’Italia”, mentre i secondi erano una maggioranza sia in parlamento che nel paese, ma paradossalmente erano troppo deboli di fronte al succedersi degli eventi.

 

L’Italia aveva di fronte a sé quattro possibilità:

  • intervenire al fianco degli Imperi Centrali che, nel 1915, erano ancora abbastanza forti da poter vincere il conflitto;
  • intervenire al fianco di Gran Bretagna, Francia e Russia, negoziando con questi paesi delle cospicue concessioni territoriali;
  • rimanere neutrale senza avviare negoziati con l’Austria-Ungheria rischiando, da parte di questa, una rappresaglia;
  • rimanere neutrale avendo concluso un accordo con l’Austria-Ungheria per avere concessioni territoriali in cambio della propria neutralità.

 

Tutti sappiamo quale è stata la scelta presa dai nostri governanti ma chiediamoci: è stata la scelta giusta? È stato giusto sacrificare centinaia di migliaia di persone per ottenere quello che è stato ottenuto? Sarebbe stato possibile avere lo stesso risultato rimanendo neutrali?

Riguardo all’ultima domanda la risposta non è semplice. Il governo italiano aveva presentato un memorandum all’Austria-Ungheria contenente le richieste da soddisfare perché il Paese rimanesse neutrale. L’Impero Asburgico era disposto a concedere solamente una parte del Trentino e non vi era nemmeno la certezza che ciò sarebbe avvenuto. Questo accodo comunque, si sarebbe dovuto scontrare con la diffidenza anti-italiana da parte dei militari austriaci o con il sentimento anti-austriaco presente in molte fette della nostra popolazione.

Di certo l’entrata in guerra dell’Italia al fianco della Triplice Intesa venne vista come un “vile tradimento” (anche Hitler non dimenticherà di ricordarlo nel 1943).

Si decise quindi che era più conveniente, dal punto di vista territoriale, aderire alla Triplice Intesa. Sicuramente rimanere neutrali avrebbe risparmiato molti lutti ma probabilmente avrebbe portato alla disgregazione dello Stato. Con un’economia povera di materie prime avremmo dovuto acquistarle da altri Paesi. Ma chi ce le avrebbe vendute in tempo di guerra visto che erano essenziali per le nazioni belligeranti? La condizione economica sarebbe stata durissima e questo avrebbe sicuramente scatenato fenomeni di protesta sociale e politica.

 

Soprattutto dopo la fine della Guerra, la storiografia ufficiale ha considerato la partecipazione alla Prima Guerra Mondiale come il completamento del Risorgimento e dell’Unità d’Italia. Basti pensare alla “Medaglia commemorativa della guerra italo-austriaca 1915-1918”, consegnata a tutti gli italiani che avevano partecipato alla Grande Guerra. La medaglia è stata coniata con il bronzo fuso delle artiglierie conquistate al nemico, sul diritto è incisa la frase: “Guerra per l’unità d’Italia 1915-1918”.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, è stato erroneamente ritenuto che considerare la Prima Guerra Mondiale come la conclusione del Risorgimento, fosse da propaganda fascista. Persone come Cesare Battisti, Nazario Sauro, Damiano Chiesa, Fabio Filzi e tanti altri non erano dei nazionalisti o degli invasati, erano italiani convinti che fosse necessario anteporre il progresso del Paese come Nazione alle loro vite. Leggendo le loro biografie non si può non guardare con ammirazione la loro serenità di fronte alla morte, una serenità che deriva dalla convinzione di aver solamente fatto il loro dovere.

 

L’Unità d’Italia non si è conclusa solamente con la conquista delle “terre irredente” ma anche con i profondi cambiamenti avvenuti nella società italiana a seguito della partecipazione alla Grande Guerra. L’Italia fu costretta a un enorme sforzo economico per sviluppare la propria industria e far fronte alle necessità imposte dalla guerra. E, visto che gli uomini erano al fronte a combattere, venne richiesto alle donne di interpretare un nuovo ruolo: sostituire gli uomini nelle fabbriche ma anche assumere un ruolo direttivo all’interno della famiglia. Questo cambiamento necessario e obbligato, porterà nel 1919 alla promulgazione di una legge per permettere alle donne l’esercizio di quasi tutte le professioni.

Sebbene la partecipazione del nostro Paese alla Grande Guerra avvenisse contro la volontà delle masse popolari, è innegabile che iniziasse a svilupparsi un sentimento di italianità tra i soldati al fronte e tra la popolazione a casa. Pensiamo ai soldati del sud che combattono assieme ai soldati residenti al nord, pensiamo alle differenze dialettali tra i vari soldati e all’uso dell’italiano per comunicare tra di loro e per scrivere a casa.

Esistono ancora divisioni tra i residenti delle varie zone d’Italia, chiediamoci cosa saremmo oggi se i nostri bisnonni non avessero combattuto assieme.

La nostra non fu dunque una guerra per conquistare nuovi territori ma per riavere quelli che ci appartenevano e che erano popolati da persone che si sentivano italiane. Ed è questo il motivo per cui il 4 novembre (anniversario dell’armistizio con l’Austria-Ungheria) celebriamo la fine della Prima Guerra Mondiale. Essa ci ha uniti come popolo e come cultura sotto un’unica bandiera, rendendoci fieri di appartenere al nostro Paese.

Mostra per il centenario della grande guerra

L’Italia al fronte, la Riviera del Brenta retrovia del Piave

In collaborazione con un vasto numeri di associazioni operanti sul territorio della Riviera del Brenta, nella provincia di Venezia e a livello Nazionale, l’evento presenterà l’occasione di celebrare il centenario della prima guerra mondiale attraverso una riflessione per imamgini e oggetti che sono la testimonianza di un tempo, un momento della storia fatta anche di dolore.
Un’opportunità, allora, per trasmettere ai giovani, e non solo, il ricordo e il significato dei valori della pace.

 

Clicca qui per andare alla pagina dell’evento in dettaglio con i patrocini e le associazioni partecipanti

 

ECCO IL PROGRAMMA:

4 NOVEMBRE 2015

ore 10.15: Ammassamento delle associazioni d’arma al Centro Civico e trasferimento al monumento ai caduti presso la Chiesa di Borbiago

ore 10.30: Alzabandiera alla presenza delle scolaresche e delle associazioni d’arma

ore 20.00: Apertura mostra storia, saluto delle autorità e inaugurazione dell’esposizione di pittura “La Grande Guerra, immagini e colori” e tavole illustrative “La Grande Guerra…storie di emigranti”

Verrà inoltre consegnato un riconoscimento speciale dal Dr. Ferruccio Gard al gruppo “Forma e Colore”

Vin d’honneur

5 NOVEMBRE 2015

ore 10.00: Incontro “Raccontare la Grande Guerra ai bambini” con le scolaresche (2 classi per turno)

ore 15.00: Proiezione del film “La Grande Guerra”

ore 20.00: Proiezione del film “La Grande Guerra”

6 NOVEMBRE 2015

ore 10.00: Incontro con le scuole

ore 20.00: Serata letteraria “Dalla grande Guerra…alla grande crisi”, incontro-dibattito con lo scrittore Francesco De Palo

7 NOVEMBRE 2015

ore 9.00-17.00: Presenza pullman attrezzato alla videoproiezione di filmati sulla Grande Guerra

ore 10.00: Le associazioni d’arma si aprono alla scuola con stand e materiali; Edoardo Pittalis (giornalista, scrittore ed editorialista del Gazzettino) presenta “La Guerra di Giovanni”

ore 16.00: Letture di lettere dei combattenti e canti con il coro “I Fiori de Suca”

ore 20.30: Concentro con il coro “La Sorgente” (Gruppo A.N.A.) di Morgano(TV) al Santuario “Santa Maria Assunta” di Borbiago

8 NOVEMBRE 2015

ore 10.30: Ammassamento delle associazioni d’arma al Centro Civico.

Seguirà l’alzabandiera presso il monumento ai caduti con un minuto di silenzio e l’Inno al Piave

ore 11.00: Celebrazione Eucaristica in suffragio ai Caduti alle Guerre con la partecipazione di associazioni civili e militari e la presenza corale dell’associazione Carabinieri di Mira diretta dal maestro Luca Poppi

ore 12.00: consegna gagliardetti della memoria alle famiglie degli ex combattenti e caduti della Grande Guerra di tutta la Riviera del Brenta

ore 15.00: Partita di calcio “Trofeo Centenario Grande Guerra – G. Carli”; verranno concesse due medaglie d’onore alla memoria di Lino Sabbadin e Matteo Vanzan presso il Campo Sportivo di Borbiago

TUTTI I GIORNI

Sarà possibile visitare la mostra “Gli ex-voto delle due guerre” nella cripta del Santuario “S. Maria Assunta” di Borbiago, via Giovanni XXIII 151

Il fascismo come fantasma dell’identità nazionale

palazzo civitltà italiana

di Alberto Ghiraldo

Spesso ci si chiede perché in Italia non sia possibile un sano patriottismo, come avviene nella maggior parte dei paesi occidentali.  Un genuino sentimento nazionale, tale da non sfociare in estremismi, è una risorsa imprescindibile per un popolo, dinnanzi a ogni sfida, comprese quelle dello sviluppo e della crescita economica. Non voglio però soffermarmi sugli effetti, ma indagare le cause che rendono il nostro Paese così diverso.

Essenzialmente è la paura: paura del passato, del fascismo e del suo duce. » Read more

La valorizzazione del patrimonio edilizio italiano

Area industriale dismessa

di Gianluca Scarpa e Matteo Zanellato

L’Italia è il paese che ha dato i natali a geni come Michelangelo e Palladio, che, nel corso della storia, hanno insegnato al mondo l’arte di progettare e costruire edifici.

Anche ai nostri giorni architetti italiani come Gae Aulenti e Renzo Piano, primeggiano nel mondo per creatività e per raffinatezza dei particolari.

Nonostante ciò, attualmente l’Italia non riesce ad esprimere un proprio stile caratteristico (che forse potrà essere riconosciuto in futuro), né riesce a porre in essere regole precise per la valorizzazione e l’adeguamento del patrimonio edilizio esistente in Italia.

Questo secondo aspetto ha inevitabilmente gravi ripercussioni sia sotto l’aspetto sociale, che nel settore produttivo. Risulta pertanto necessario mettere in pratica un efficiente sistema normativo e di provvedimenti, coordinato fra i vari livelli amministrativi, che sia finalizzato principalmente ai seguenti obiettivi:

  1. Razionalizzazione della distribuzione dirisorse economiche e sociali per la salvaguardia del patrimonio storico e culturale, costituito da edifici di pregio unici al mondo.
  2. Coordinamento effettivo su scala regionale della distribuzione delle zone territoriali omogenee, al fine di garantire un equilibrato sviluppo di ognuna di esse.
  3. Pianificazione mirata sul medio-lungo periodo per la riqualificazione o per la riconversione delle aree e dei fabbricati commerciali ed industriali che, purtroppo, sono o rimarranno dismessi in conseguenza della crisi economica tuttora in corso.

Andiamo ora a vedere più nel dettaglio ognuno degli aspetti appena elencati.

Distribuzione delle risorse per la salvaguardia del patrimonio storico e culturale

L’Italia ha un patrimonio edilizio ed architettonico immenso, del quale ogni italiano dovrebbe andarne fiero.

Contemporaneamente però ogni cittadino deve avere coscienza che la valorizzazione di tali beni deve essere il compito di ogni italiano, proporzionalmente alle capacità di ciascuno.

Risulta chiaro che, specialmente nel periodo attuale, è impossibile che le pubbliche amministrazioni riescano a sostenerel’onere della  manutenzione e della rivalutazione di ogni singolo manufatto che abbia un certo pregio sotto l’aspetto storico ed ambientale.

E’ quindi indispensabile definire chiaramente quali siano le opere emergenti, per le quali le amministrazioni possano garantire la necessaria custodia, partendo ovviamente da quelle di pregio maggiore, e demandando a privati la fruibilità delle rimanenti opere di valore storico. In questo secondo caso, però, risulta necessario, per non correre il rischio che i beni storico-artistici rimangano comunque in stato di abbandono, consentirne un uso che possa garantire un autofinanziamento delle opere pur nel rispetto delle originarie funzioni e delle strutture caratteristiche del manufatto.

Coordinamento su scala regionale della distribuzione delle zone territoriali omogenee

Attualmente le Regioni, oltre al compito di redigere i piani urbanistici ed ambientali di indirizzo, hanno il potere di approvare o meno i piani urbanistici su scala comunale.

E’ sotto gli occhi di tutti che tale coordinamento si limita quasi esclusivamente al rispetto delle formalità burocratiche e all’acquisizione dei diversi pareri degli enti competenti in materia. Spesso accade che aree con la medesima destinazione d’uso si trovino a una distanza tale da renderle obbligatoriamente concorrenziali, questo vale specialmente per le aree commerciali e a sviluppo industriale.

Tale situazione può dare al cittadino, in via del tutto teorica,  i vantaggi derivanti dalla molteplicità dell’offerta ma, in realtà,la concorrenza fra aree limitrofe ha spesso portato alla prevaricazione dell’una sull’altra, se non addirittura al dissesto di entrambe le aree per il mancato raggiungimento dei target economico-produttivi minimi necessari alla loro sopravvivenza.

E’ auspicabile perciò che sia possibile una concreta pianificazione su ampia scala, che consenta di evitare situazioni conflittuali, conferendo anche all’ente la possibilità di effettuare con procedure snelle le necessarie correzioni di indirizzo ai piani già in essere. Questa pianificazione dovrebbe avvenire superando gli attuali confini amministrativi comunali e provinciali, rispondendo alle vere esigenze dei territori.

In questo modo le aree da «concorrenziali» passerebbero a «complementari», creando una situazione di win-win tra tutti gli operatori industriali, favoriti a creare rete tra le varie imprese.

Pianificazione mirata delle aree commerciali ed industriali dismesse

I mutamenti della società e dell’economia intercorsi negli ultimi 20 anni hanno portato ad un netto cambiamento delle procedure produttive e logistiche. Di conseguenza, dove non è stato possibile adeguare le strutture e le infrastrutture alle nuove esigenze, si è reso necessario abbandonare il sito (spesso senza demolire le opere esistenti).

Bisognerebbe pianificare fin da ora le destinazioni possibili per le aree attualmente dismesse, indipendentemente dalla possibilità di realizzare in tempi brevi le previsioni del piano, basandosi su esperienze relativamente recenti – anno ‘90 – di riqualificazione e riconversione delle grandi aree industriali.

Rimane aperta, e dovrà essere oggetto di confronto, la questione spinosa della bonifica e riconversione delle aree che ancora oggi risultano inquinate a causa di attività industriali pre-esistenti, trovando un equilibrio economico-finanziario fra pubblico e privato, senza per questo tralasciare l’aspetto sociale, che consenta di rendere realizzabili le attività di bonifica. In questo modo si potrebbe garantire da un lato la salvaguardia dell’ambiente e dall’altro non aggiungere ulteriori aggravi alle imprese che volessero investire su tali siti.