GERMANIA. Migranti

‘serve meccanismo permanente. E sulla Siria coinvolgere al-Assad’

La cancelliera tedesca Angela Merkel è intervenuta al Bundestag per comunicare ai deputati quanto è risultato dal vertice dei capi di stato e di governo dell’Unione Europea, affermando di essere “profondamente convinta” che non vi sia solo la necessità di una distribuzione “precisa” dei profughi, bensì di regole e di un “processo permanente”, come richiesto dalla Commissione e dalla Germania.
Per Merkel l’Unione Europea deve superare “prova del fuoco sociale, economica, culturale e morale”, poiché “La gestione della crisi in corso segnerà per lungo tempo il nostro continente”.
Parlando di Siria la cancelliera si è detta convinta che il presidente siriano Bashar al-Assad debba essere incluso nei colloqui di pace, ovvero che ”Dobbiamo parlare con diversi attori, incluso al-Assad”, “Non solo con Usa e Russia, ma anche con importanti partner regionali come l’Iran e l’Arabia Saudita”.

Profughi: l’Ue non decide e rinvia a ottobre

l’Ungheria chiude la barriera.

Ma Orban ha la memoria corta: nel 1956 arrivarono 200mila ungheresi

di Enrico Oliari da notiziegeopolitiche.net

Ancora una volta l’Europa unita si è dimostrata incapace di decidere, ed i ministri dell’Interno dei Ventotto hanno trovato un accordo solo sul minimo indispensabile, ovvero la lotta ai migranti attraverso l’uso della forza da parte dell’Eufor e la ricollocazione di 40mila profughi da Italia (24mila) e Grecia (16mila) in due anni, ma solo per quelli che arriveranno tra il 15 agosto 2015 ed il 16 settembre 2017.
A non essere passato è stato il piano Juncker, che prevede la redistribuzione dei profughi attraverso la possibilità di sforare il pareggio di bilancio e di multare chi non si fa carico della propria quota, per cui una nuova seduta èstata programmata per l’8 e il 9 ottobre. La maggioranza dei paesi si era detta disponibile al piano del capo della Commissione, ma a tenere tutti sotto scacco sono stati Ungheria, Romania, Slovacchia e Repubblica Ceca.
Il ministro lussemburghese Jean Asselborn, che ha presieduto la riunione, ha concluso che “La maggioranza degli Stati membri si sono impegnati oggi sul principio della ricollocazione supplementare di 120mila persone ora presenti nei Paesi esposti ai flussi migratori”, cioè in Grecia, Italia e Ungheria, ma tra il prendere un impegno ed arrivare a una decisione c’è un solco abissale.
In 25 giorni (tanto manca alla prossima riunione) può succedere di tutto, con migliaia di profughi che ogni giorno risalgono i Balcani o attraversano il Mediterraneo, e nel frattempo ognuno fa come gli pare, si alzano muri, si aprono le frontiere, si inventano i campi profughi, si fanno nuove leggi.
L’Ungheria ha terminato e chiuso la barriera di 176 chilometri fatta di reti e di filo spinato al confine con la Serbia, chiudendo così la porta in faccia a centinaia di migranti siriani, pakistani e afgani che si stanno giungendo e accalcando a Horgosm, l’ultimo centro abitato serbo. Le scene sono quelle di famiglie stanche che si abbandonano allo conforto per non essere passate in tempo, ma resta da vedere cosa accadrà quando alla barriera ungherese premeranno migliaia di profughi. Qualcuno ipotizza nuove rotte per l’Unione Europea attraverso la Bulgaria e la Romania, dove vi sono barriere meno rilevanti, ma comunque immense praterie da attraversare, ed ormai l’inverno è alle porte. Perché chi scappa dalla guerra per salvare la propria famiglia ed i propri sogni non si ferma davanti a nulla. Il reato di immigrazione, entrato in vigore a mezzanotte, ha comportato i primi 16 arresti di migranti che tentavano di attraversare la frontiera: rischiano fino a tre anni di reclusione.
La figura di Orban è spesso stigmatizzata e a volte additata come esempio, ma è certo che il premier dimostra di avere la memoria assai corta: nel 1956 in 200mila profughi ungheresi lasciarono il paese attraversando il confine austriaco, lasciato aperto da Vienna. La ripartizione in quote (non esisteva ancora l’Ue) ne fece arrivare 5mila in Italia, assistiti dalla Croce Rossa. Si era trattato di una sollevazione armata contro l’occupazione sovietica, durata dal 23 ottobre al 10 novembre e causò la morte di 2.700 ungheresi e l’esodo di 200mila persone. I siriani oggi scappano da 5 anni di guerra e 230mila morti.

Euclides Tsakalotos: ecco chi è il nuovo ministro dell’Economia della Grecia

Euclides Tsakalosos, neo ministro dell'economia greco

di Francesco De Palo da ilfattoquotidiano.it

Nato in Olanda a Rotterdam nel 1960, ha frequentato il prestigioso college londinese di St. Paul, poi si è laureato all’università di Oxford. Il ‘britannico’ ha di fatto commissariato negli ultimi de mesi Varoufakis in occasione dei vertici comunitari. Comunista, in Syriza da dieci anni, carattere non accomodante ma dai modi meno bruschi del suo predecessore: è il nome scelto da Tsipras per ‘parlare’ con l’Europa

Dal Minotauro alla bombetta inglese. Non usa moto né t-shirt il nuovo ministro delle finanze ellenico scelto al posto del forzosamente dimissionario Yanis Varoufakis. Euclide Tsakalotos, già portavoce economico del governo Tsipras, di fatto è ministro ombra da due mesi a questa parte. Erano i giorni dello scontro aspro tra Atene e i creditori internazionali, con la stretta di mano tra Djsselbloem e l’allievo di Galbright che segnò un solco incolmabile tra i due, quando il premier “commissariò” in qualche modo Varoufakis affiancandogli lo stesso Tsakalotos e il vice premier Dragasakis in occasione dei vertici comunitari (ottenendo il plauso del Guardian, tra gli altri).

Nato in Olanda a Rotterdam nel 1960, Tsakalotos ha frequentato il prestigioso college londinese di St. Paul, poi si è laureato all’università di Oxford in seguito si è specializzato presso l’Università del Sussex. Di formazione molto anglosassone – ha sposato l’economista inglese Heather D. Gibson – ha insegnato presso le Università di Kent e di Atene. Il battesimo politico risale al 2012, quando Syriza balzò dal 4% al 23% sorprendendo tutti. Nelle doppie elezioni di quell’anno Tsakalotos centrò il seggio parlamentare per poi essere promosso a componente del Comitato centrale di Syriza, in un partito che rispetta ancora il mantra degli organismi collegiali e decisionali. Infatti da due lustri milita in Syriza, sin dai tempi in cui il movimento si chiamava Synasprismos e Tsipras lo scorso gennaio lo ha premiato con un incarico di sottosegretario agli Esteri a cui ha sommato quello di capo dei negoziatori che trattano con l’Europa.

Tsakalotos ha scritto, a quattro mani con altri collegi, sei libri compreso Crucible of Resistance: Greece, the Eurozone and the World Economic Crisis, in cui attacca il binomio crisi greca-mancanza di riforme. In quelle pagine vergate nel 2012 punta l’indice contro la deriva liberista che ha invaso la Grecia sin dal 2008, che ha prodotto le attuali diseguaglianze sociali accanto al panorama che tutti conosciamo. Ora ha la possibilità di applicarvi le sue ricette anche grazie al suo carattere, raffinato ma non accomodante.

Come anticipato nei giorni scorsi, pare che sulla nuova nomina pesino i consigli a Tsipras del ministro dell’informazione Nikos Pappas, molto ascoltato dall’ingegnere 40enne, allergico ai modi di Varoufakis poco incline a prepararsi una futura rielezione e più propenso ad essere rappresentato a Bruxelles dal diplomaticissimo Tsakalotos. Quest’ultimo si è sempre detto un europeista convinto ma senza peccare di morbidezza verso Bruxelles come i predecessori Hardouvellis e Stournaras. Pappas avrebbe avuto un’ultima discussione con Varoufakis proprio in occasione del vertice governativo di emergenza convocato due giorni prima del referendum, convincendo il suo premier alla decisione che, però, alcuni vorrebbero fosse dipesa interamente da Berlino e non dal fronte interno. Più probabilmente Tsipras potrebbe essere stato costretto a mediare tra due richieste giunte sulla sua scrivania, sostengono altri rumors. Per cui ha scelto l’unica strada possibile, dopo la vittoria referendaria. E nessuno sa se sia la migliore.

 

(Immagine Euclides Tsakalotos, Fonte: ilfattoquotidiano.it

Varoufakis si dimette: contrasti interni a Syriza e pressioni dell’Eurogruppo alla base dell’addio del ministro del Tesoro

di Francesco de Palo da ilfattoquotidiano.it

Gli hanno dato del giocatore d’azzardo, pagliaccio e pokerista e non solo dalle parti di Francoforte, a testimoniare una personalità comunque narcisista e protagonista, ma che ha avuto il merito di smuovere le acque di un memoradum che in tre anni non ha sortito effetto alcuno, se non peggiorare la situazione per tutti: creditori e debitori. Ora se ne va, su richiesta dello stesso Tsipras. Theodorakis, fondatore del partito Potami, in pole per il ruolo di coordinatore pro troika delle opposizioni

Grexit? No, Varoufexit. Passo indietro dell’artefice del muro contro muro, un premier con maggior potere decisionale (anche all’interno del suo partito), che ferma (definitivamente?) le velleità dei “montiani ellenici” e che oggi guarderà negli occhi chi era già pronto a un governo di larghe intese: il capo dello Stato Procopios Pavlopoulos, filomerkeliano a cui Alexis Tsipras ha chiesto di convocare i leader di tutti i partiti del Paese. Non è il Grexit il primo effetto della vittoria del no al referendum di ieri, ma le dimissioni di chi, dallo scranno più alto del ministero delle Finanze, aveva decretato tempi e modi di una trattativa apparsa subito complicatissima. Yanis Varoufakis lascia il ministero delle Finanze su richiesta dello stesso premier.

E in una nota spiega di essere diventato, poco dopo l’annuncio dei risultati del referendum, “noto ai partecipanti dell’Eurogruppo e altri partner, che apprezzeranno la mia assenza alle future riunioni”. Negli ultimi giorni erano fuoriuscite alcune informazioni circa posizioni diverse all’interno di Syriza sull’estroso allievo di James Galbright. Qualcuno aveva addirittura parlato di furiose liti con il vicepremier Iannis Dragasakis e con il ministro dell’informazione Nikos Pappas, ma nulla di ufficiale. Erano le ore in cui nel partito del premier c’era chi chiedeva la testa di Varoufakis per poter riallacciare i contatti con i creditori internazionali, choccati dai modi dell’economista.

Negli occhi dei greci ci sono ancora le immagini della prima visita ad Atene, nel gennaio scorso, del capo dell’Eurogruppo Djisselbloem e di quelle parole che proprio Varoufakis gli sussurrò all’orecchio con un sorriso beffardo. L’olandese prima gli strinse la mano poi, di ghiaccio, la lasciò per abbandonare in fretta la conferenza stampa, mentre i fotografi immortalavano questa immagine surreale. E’quello il primo momento di rottura con l’ex troika che segna anche un solco nei rapporti tra Atene e Bruxelles e che, di fatto, diventa il ritornello delle trattative degli ultimi mesi. Gli hanno dato del giocatore d’azzardo, pagliaccio e pokerista e non solo dalle parti di Francoforte, a testimoniare una personalità comunque narcisista e protagonista, ma che ha avuto il merito di smuovere le acque di un memoradum che in tre anni non ha sortito effetto alcuno, se non peggiorare la situazione per tutti: creditori e debitori.

Poche ore prima c’ era stato un altro passo indietro, quello dell’ex premier conservatore Antonis Samaras. Il numero uno di Nea Dimokratia, protagonista nel 2012 del governissimo che firmò il memorandum ribattezzato “di larghe intese con la troika” si era speso fino all’ultimo istante per il sì. Ma negli occhi dei cittadini ellenici Samaras incarnava la stretta di mano con la cancelliera Merkel, ovvero tre tagli a pensioni, stipendi e indennità, un regime di austerità e di sacrifici che, seppur portato avanti nel nome del futuro della Grecia, non trovava più consensi nell’Egeo. Si dice che il giornalista Stavros Theodorakis, fondatore del partito Potami, possa diventare il coordinatore pro troika delle opposizioni: è giovane come Tsipras, anche lui senza cravatta e nell’immaginario collettivo potrebbe essere l’unica alternativa al 40enne ingegnere in caso di elezioni anticipate. Ma oggi sono scenari che passano in secondo piano. Il Paese e l’Europa si interrogano sulla scelta (un baratto?) del ministro senza scorta e che arrivava ai vertici in sella alla sua moto. Qualcuno a Berlino avrà applaudito.

Da una destra unita i semi della nuova Italia

di On. Roberto Menia da primadituttoitaliani.com

Ero a Chicago, 7 ore in ritardo rispetto a Roma, a seguire su Rai Italia la diretta dello scrutinio delle elezioni regionali. La sera dell’Illinois coincideva dunque con le prime ore dell’alba italiana e facevo difficoltà a spiegare ai miei interlocutori, italoamericani fieramente repubblicani, che fine avesse fatto la destra italiana. Quella che conoscevano non c’era più: Alleanza Nazionale scomparsa senza un perché, » Read more

ALBANIA. TAP: iniziano lavori per collegamenti viari. Rama, ‘Grande opportunità per Paese’

di Giacomo Dolzani da notiziegeopolitiche.net

Trans Adriatic Pipeline AG (Tap) ha diffuso ieri un comunicato con il quale la compagnia annuncia l’inizio dei lavori che porteranno alla realizzazione in Albania di strade e ponti, oltre alla modernizzazione di molte infrastrutture già esistenti, le quali corrono lungo il tratto di gasdotto che attraverserà da est a ovest il paese balcanico.

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Altro che Russia: l’incognita (e il pericolo) è la Cina

di Dario Rivolta* da notiziegeopolitiche.net

Ci sono avvenimenti nella politica internazionale che sembrano così irrazionali da far persino dubitare, a chi li osserva, che accadano veramente. Comunemente si pensa che sia legittimo per ogni Stato perseguire i propri interessi e, anche quando le azioni compiute da un altro non ci piacciono o non ci convengono, siamo portati a spiegarcele secondo la logica della ricerca del proprio profitto. Qualche volta, tuttavia, sembrano così irrazionali da far supporre che nascondano obiettivi meno evidenti o addirittura inconfessabili. » Read more