La riforma costituzionale Boschi

Palazzo corte costituzionale

di Matteo Zanellato

Finalmente si è giunti all’abolizione del bicameralismo paritario. O forse no. La riforma Boschi da una parte fa ben sperare in una democrazia più veloce, dall’altra però è una legge fatta a colpi di maggioranza. Ma la costituzione è la legge fondamentale dello Stato. Da essa si ricavano le norme essenziali della comunità statale.

È indispensabile quindi che una riforma costituzionale sia condivisa dalla più ampia sfera di forze politiche possibili. Al momento dell’approvazione della nostra attuale costituzione, su 556 deputati eletti dal popolo soltanto 62 votarono contro il testo frutto di tanti compromessi tra forze social-comuniste e liberal-popolari. La costituzione del ‘48 aveva come obiettivo la stabilizzazione del nuovo sistema repubblicano, senza creare le premesse ad eventuali e future derive autoritarie. I padri fondatori crearono un Presidente della Repubblica senza specifici poteri decisionali e un esecutivo completamente sotto il controllo del Parlamento. Il sistema partitico italiano poi, composto da una miriade di partiti e un sistema di voto proporzionale, con la Dc che occupava il centro e il Pci che per motivi legati alla situazione internazionale non poteva governare, bloccava la politica italiana e i suoi eventuali cambiamenti. Dopo la caduta del muro di Berlino e l’avanzata di un partito regionalista come la lega, si cercò di modificare la costituzione per rendere la Repubblica Italiana più in linea con i tempi.

Oltre al fallimento della bicamerale si ricordano le riforme del titolo V del centrosinistra e la «devolution», riforma costituzionale voluta dal centrodestra e bocciata poi dal referendum del 2006.

Il governo Renzi è l’ultimo in ordine di tempo che sta cercando di modificare la costituzione, attraverso il Ddl Boschi che ha già ottenuto il primo sì di Camera e Senato. Per essere approvata dovrà passare un’altra volta nei due rami del Parlamento e ottenere l’ok definitivo dal referendum confermativo che si terrà in autunno.

Ma quali sono le principali modifiche che la riforma prevede?

  • L’abolizione del bicameralismo paritario sembra la novità più importante. Anche se il Senato potrà esprimere il parere su qualsiasi DDL, non avrà più potestà legislativa.
  • La Camera dei Deputati avrà, come oggi, 630 deputati che saranno eletti a suffragio universale.
  • Il Senato della Repubblica cambierà nome in Senato delle autonomie, sarà composto da 100 senatori, di cui 74 tra presidenti delle giunte regionali e consiglieri regionali, 21 sindaci e 5 nominati dal Presidente della Repubblica in carica per sette anni. Il Senato avrà competenza sulle riforme costituzionali, sulle questioni europee e sul controllo dell’impatto delle politiche pubbliche.
  • La Corte costituzionale sarà composta da 15 giudici, rispettivamente 3 eletti dalla Camera, 2 dal Senato, 5 dal Presidente della Repubblica e 5 dalle magistrature ordinaria e amministrativa.
  • Il Capo dello Stato sarà eletto dai 630 deputati e dai 100 senatori, non saranno più previsti i 58 elettori nominati dai consigli regionali. I primi quattro scrutini prevederanno la maggioranza dei due terzi, dal quinto turno serviranno i tre quinti dei parlamentari e dal nono basteranno 366 voti.
  • La seconda carica dello Stato diventerà il Presidente della Camera.
  • Le province e il Cnel saranno cancellate dalla costituzione.
  • Per quanto riguarda gli istituti di democrazia diretta, saranno introdotti i referendum propositivi. Rimarranno cinquecento mila firme da raccogliere per presentare un quesito referendario. Se si presenteranno ottocento mila firme si abbasserà il quorum, che terrà conto della precedente tornata elettorale. Saliranno da cinquanta mila a centocinquanta mila le firme necessarie per presentare un DDL di iniziativa popolare, ma la Camera dovrà indicare tempi precisi.

Come si può vedere è una riforma fatta di fretta che non decide che tipo di Repubblica dovrà essere, ma modifica qui e lì l’attuale Costituzione.

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