Whatever it takes – Tutto il necessario (per salvare l’UE)

di Matteo Gaspari

“The ECB is ready to do whatever it takes to preserve the euro. And believe me, it will be enough” con queste parole Mario Draghi, presidente della Banca Centrale Europea, ha voluto mandare un segnale e un avvertimento ai mercati. Era il 26 luglio 2012, lo spread italiano a inizio seduta viaggiava attorno ai 520 punti base. Sono bastate poche parole del presidente della BCE per far scendere lo spread a 473 punti e per far guadagnare alla borsa il 5,62%. Draghi prometteva che avrebbe fatto tutto il necessario per salvare l’Unione Europea e l’Euro, di considerare l’Euro irreversibile, auspicava che ci fosse più unione politica e non, ci permettiamo di aggiungere, un’Europa di serie A e una di serie B.

La Grecia, malata d’Europa

In 3 anni molto è cambiato, molto è stato fatto e finalmente la crisi del debito sovrano sembra stia finendo. Oggi come allora però rimane il problema della Grecia, la malata d’Europa. Le riforme imposte dalla Troika (Fondo Monetario Internazionale, Banca Centrale Europea e Commissione Europea) non sono servite quasi a nulla: dall’inizio della crisi il debito pubblico è costantemente aumentato mentre il PIL è crollato del 25% dal 2008. Nonostante l’haircut del debito pubblico effettuato nel 2012 – in cui, è bene ricordarlo, le perdite furono tutte a carico degli investitori privati, la BCE non subì nemmeno un euro di perdita – sembra che un altro taglio del debito greco sia inevitabile.

La Grecia oggi ha bisogno di nuovi presiti per poter ripagare i debiti contratti. Per avere questi soldi i creditori chiedono di introdurre nuove riforme tra cui: aumento dell’IVA per alberghi e ristoratori, aumento dell’età pensionabile a 67 anni entro il 2022, tagli alle spese militari (la Nato si è dichiarata contraria vista la situazione geopolitica del Mediterraneo), aumento delle tasse societarie e aumento delle tasse sulle imbarcazioni più lunghe. Come per le precedenti trattative tra Troika e Grecia, vengono chieste solo più tasse e meno spesa pubblica. Per la prima volta il governo greco, formato dalla coalizione tra SYRIZA e ANEL (Greci Indipendenti, partito di destra con orientamento euroscettico), ha deciso di sottoporre le richieste a un referendum popolare perché siano i cittadini a decidere il loro futuro. Ci aveva già provato Papandreou nel 2011 ma, dietro la minaccia da parte dell’Europa di sospendere gli aiuti economici, fu costretto a fare dietrofront e dimettersi.

Il Referendum e il futuro dell’Europa

Nel momento in cui questo articolo viene scritto non abbiamo ancora certezze sull’esito del referendum. I maggiori leader europei in questa settimana hanno più volte chiesto ai cittadini greci di votare a favore delle misure di austerità. Per la prima volta sono intervenuti nel dibattito interno di uno Stato membro, alcuni si sono perfino spinti a chiedere le dimissioni di Tsipras, primo ministro greco e leader di SYRIZA, e del suo governo in caso di vittoria del sì. Tsipras invece ha chiesto ai greci di votare contro aggiungendo che questo non è un referendum sulla permanenza della Grecia nella moneta unica. Nonostante le dichiarazioni del Primo Ministro greco appare scontato che questo sia anche un referendum per la permanenza nell’Euro.

Ad urne chiuse sembra che, seppur di poco, sia in vantaggio il no, i cittadini greci sembrano dare ragione al loro Primo Ministro. Se il risultato dovesse essere confermato gli scenari possibili sono due: Tsipras ha la forza del sostegno popolare per tornare al tavolo delle trattative. Può far valere le ragioni di un popolo che si ritiene vessato dai creditori, che ritiene di aver già pagato abbastanza per gli errori dei passato. L’Europa terrà conto della volontà di qualche milione di cittadini? Secondo molti analisti l’unica soluzione per la Grecia sembra essere quella di un drastico taglio del debito. Non sarebbe la prima volta: i debiti sovrani sono stati ristrutturati o cancellati decine di volte, anche la Germania ne ha beneficiato nel 1953, dopo la Seconda Guerra Mondiale, ma sembra esserselo dimenticato. La seconda possibilità, quella che fino a qualche anno fa nessuno poteva immaginare, è che la Commissione Europea rimanga fedele alla sua linea. Che, sfidando la volontà popolare, interrompa ogni trattativa con la Grecia e sancisca il default del Paese ellenico rinunciando definitivamente ad oltre 200 miliardi di debito detenuti dal Financial Support Mechanism Loans, il Fondo Salva Stati Europeo.

Ma davvero ci dovremmo preoccupare dell’uscita dall’Euro di un Paese che contribuisce appena per il 3% al PIL dell’Europa? Se dovessimo essere cinici e valutare solamente il contributo che la Grecia porta all’Europa probabilmente l’uscita dall’Euro dovrebbe essere auspicata e incoraggiata. L’art. 50 del Trattato dell’Unione Europea prevede che un paese membro possa uscire dall’Unione Europea anche senza particolari motivazioni. Di conseguenza molti ritengono che sia possibile anche l’uscita dall’Euro. Chiediamoci però quali sarebbero le conseguenze politiche e finanziarie per l’Italia e per l’Europa. Dopo la Grecia i mercati finanziari individuerebbero subito un altro “candidato” per l’uscita dalla moneta unica e la Spagna, ma soprattutto l’Italia, sarebbero le prede perfette. L’Euro e l’Unione Europea non apparirebbero più come una scelta irreversibile e questo potrebbe portare a nuove uscite più o meno volontarie, pensiamo ad esempio alla Gran Bretagna. Inoltre la Grecia potrebbe decidere di cedere alle lusinghe della Cina, divenendo la porta d’ingresso per i prodotti cinesi in Europa, attraverso il porto del Pireo. Certo, se la Grecia e l’Italia fossero fuori dall’Euro potrebbero contare su una propria valuta e una propria politica monetaria. Ma pensiamo a quanto potrebbero contare la Grecia e l’Italia nel mondo. Già in molti si lamentano che l’Italia ha poco peso in Europa di cui è uno dei paesi fondatori, figuriamoci quanto ne potrebbe avere nel mondo di fronte colossi quali USA, la Cina o la stessa UE.

L’Euro non è solo una valuta ma è un simbolo, il simbolo della scelta di un destino comune. L’Europa non è solo un’unione politica ma è la consapevolezza che per contare qualcosa bisogna essere uniti. I momenti di crisi fanno sempre affiorare gli egoismi ma non è con meno Europa che vinceremo la sfida, tutt’altro.

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