Jacopo Guizzardi nuovo presidente

Importanti novità relative all’organigramma di Direzione Europa. Nel corso dell’assemblea dei soci svoltasi lo scorso 21 ottobre il Presidente Matteo Zanellato ha rassegnato le proprie dimissioni dalla carica per motivi personali.

Jacopo Guizzardi è stato eletto all’unanimità come suo successore. Il neo-presidente attualmente ricopre la carica di Presidente del Consiglio Comunale a Salzano.

L’assemblea dei soci ha inoltre provveduto a nominare il nuovo consiglio direttivo di cui fa parte anche Luna Vergerio, assessore all’istruzione, alle politiche giovanili, sociali ed educative sempre nel comune di Salzano. Gli altri membri del consiglio direttivo sono Matteo Gaspari, Alberto Ghiraldo, Ivo Iannace, Rocco Sedona e Filippo Sivieri

«In questi anni abbiamo dimostrato di essere tra le associazioni giovanili più attive nella terraferma Veneziana e siamo stati fondamentali nella vittoria del centrodestra a Salzano che ci ha portato ad esprimere ben due nostri membri.» – dichiara il neo-presidente Guizzardi –

«Il mio obiettivo, e di tutti i ragazzi di Direzione Europa, sarà quello di continuare il nostro percorso di formazione per i giovani, in modo da poterli avvicinare e appassionare al mondo della politica che specialmente negli ultimi anni viene percepita come distante dai cittadini. Ora lo possiamo fare anche offrendo più punti di vista: quello di giovani, di cittadini e di amministratori.»

Oltre la nomina del nuovo consiglio direttivo si è provveduto ad effettuare alcune modifiche statutarie, tra cui la modifica della sede sociale da Mestre a Salzano.

 

Salzano amministrative 2017: Direzione Europa parteciperà al cambiamento

A Salzano, Direzione Europa parteciperà al cambiamento di cui ha bisogno la città

Direzione Europa è nata anche per avvicinare i giovani al mondo della politica. È proprio per questo motivo che siamo felici di annunciarvi che due nostri associati, il Vicepresidente Jacopo Guizzardi e Luna Vergerio, hanno deciso di impegnarsi in prima persona per le elezioni amministrative che si terranno a Salzano il prossimo 11 giugno. Entrambi conoscono molto bene la realtà di Salzano (VE) e della sua frazione Robegano poiché vivono nel Comune fin dalla nascita.
Senza di loro l’Associazione probabilmente non avrebbe potuto dar vita alla maggior parte delle iniziative che si sono svolte in questi due anni. Sono stati essenziali per la nascita e lo sviluppo di Direzione Europa ma soprattutto hanno avuto modo di imparare a conoscere i meccanismi di funzionamento della macchina amministrativa comunale e del mondo associativo. A loro vanno i ringraziamenti degli iscritti di Direzione Europa per l’ottimo lavoro che hanno fatto e che stanno facendo.
Hanno l’energia e l’entusiasmo tipico dei giovani e, anche se non sono mai stati iscritti a nessun partito, stanno dando un contributo fondamentale alla Lista Cambiamo Salzano – Luciano Betteto Sindaco con le loro idee, le loro proposte e soprattutto con il loro impegno.
Vi auguriamo buona fortuna e tanta soddisfazione per l’esito delle votazioni.. continuate così!

“Le ragioni del no” a Salzano chiusa con il botto

gli organizzatori e i relatori de "la riforma costituzionale : le ragioni del no" a Salzano

Hanno centrato il loro obiettivo: “Parlare del NO alla riforma costituzionale Renzi-Boschi con la sala piena”.

Un centinaio di persone ad assistere alla conferenza sulle ragioni del no promossa e tanto voluta da Direzione Europa e Lega Nord – Sezione di Salzano Robegano per dare un piccolo segnale a questo piccolo paese di meno di 13 mila abitanti che risulta a detta dei suoi abitanti ormai un dormitorio.

 

Matteo Zanellato parla a "la riforma costituzionale: Le ragioni del NO" a Salzano

I cittadini sono stati felici di vedere come giovani di questa età si siano messi in gioco con le loro esperienze per difendere la loro costituzione, quella che i loro bisnonni hanno scritto con tanti sacrifici.

Presenti a questa conferenza l’ex consigliere comunale di Salzano Stefano Vecchiato, l’ex candidato sindaco di Salzano nonchè Presidente di Direzione Europa Matteo Zanellato, l’On. Lorenzo Fontana e il consigliere regionale dell’Alto Adige Alessandro Urzì. Soddisfatti gli organizzatori della serata, che chiudono la serata dicendo «se il 4 dicembre vincerà il “No” come ci auspichiamo, si dovrà convocare un’Assemblea costituente per riscrivere la Carta Alessandro Urzi parla a "la riforma costituzionale: Le ragioni del no" a SalzanoCostituzionale senza forzature governative. Il “Sì” a questa riforma precluderebbe una modifica alla costituzione utilizzando le procedure corrette».

 

 

 

 

Qui è possibile scaricare il comunicato stampa congiunto firmato da tutti gli organizzatori della serata

Successivamente alla serata è stato pubblicato un sondaggio per permettere a tutti di dire la propria sulla riforma costituzionale e, per i presenti a questo convegno, di valutare gli organizzatori e i relatori. Clicca qui per compilarlo pure tu e non dimenticare di condividerlo con gli amici!

 

 

Nella foto di copertina gli organizzatori dell’evento e i relatori.
Da sinistra Giuliano Stevanato, Alessio Vian, Jacopo Guizzardi, Matteo Zanellato, Alessandro Urzì e Stefano Vecchiato

 

 

Direzione Europa in piazza contro il referendum

a salzano per il no al referendum

Sabato 29 e Domenica 30 Ottobre Direzione Europa, assieme alla sezione di Salzano di Lega Nord, è andata in piazza a Salzano e a Robegano con un piccolo gazebo per presentare alla cittadinanza la conferenza per il NO al referendum costituzionale che si terrà domani 3 Novembre presso la Sala Consiliare del comune di Salzano.

Sono scesi in piazza per noi il nostro vice presidente Guizzardi Jacopo e Ivo Iannace: «è stata un’ottima occasione per conoscere il polso delle persone in merito al referendum» – ha dichiarato Jacopo – «ho notato molta disinformazione e ho avuto modo di incontrare persone che, stufe di questo sistema politico, non andranno a votare e questo non mi ha rallegrato sicuramente, spero di essere riuscito a convincerle ad andare a votare poichè una democrazia si basa principalmente sulla partecipazione del cittadino tramite il voto»

Vi aspettiamo Domani a Salzano per partecipare alla nostra conferenza.
Non mancate
Qui il link alla pagina evento su facebook, e qui sul nostro sito

Lettera a chi parla itanglese

“Che location hai scelto per il meeting?”  “Pensavo a un brunch molto easy”  “Ma qual’é la deadline per l’application?”….”Che drink per te, niente? ” “Non sono nel mood giusto” “What????Bé cheers lo stesso”  “Quali i principali fatti politici? Io direi la salita dello spread che ha reso necessaria una profonda spending review…..” “Per me il jobs act” ” Io invece direi la crisi delle banche con l’avvento del bail in“.

Questi sono solo esempi di possibili conversazioni a differenti livelli che si possono ascoltare per strada, al bar il sabato sera, in un contesto lavorativo, in politica e così via. Ma mi chiedo, che lingua è questa? Italiano viene difficile chiamarla, inglese men che meno, eppure è la lingua più parlata da chi abita in Italia e proprio a voi, che parlate itanglese mi rivolgo. Una ricerca constatava che nei primi 8 anni del nuovo millennio vi è stato un incremento del 773% dei termini inglesi usati nella lingua italiana, e non servono le statistiche per accorgersi che negli ultimi tempi questo fenomeno ha visto un’ulteriore crescita. Ciò avviene  a tutti i livelli linguistici, infatti non siamo solo noi giovani a preferire correntemente parole come cheap, mood, like, cool, off e molte altre, ma anche nelle sfere dell’informazione, della politica, della finanza, delle scienze e della tecnica e non solo, ci piace sempre più spesso inserire l’inglesismo. itanglese_re08_white_300dpiIl problema è il quanto spesso perchè, a volte quando parlate nel vostro itanglese addirittura una parola ogni 10 è inglese, dando vita così a un linguaggio interrotto. Questo linguaggio non è una stranezza, mentre l’eccezione è sentir parlare senza inglesismi. Molti di voi lo fanno senza rendersene conto, anzi, quasi con boria, perchè “fa figo”, pardon, è cool, è sinonimo di essere alla moda (trendy per chi non capisse), è modernità. Ma cosa vuol dire essere moderni? Essenzialmente, a quanto pare, vuol dire seguire le tendenze che molto più facilmente vengono dettate in un mondo ultraglobale, quindi la globalizzazione è sicuramente una delle cause di questo imbarbarimento della lingua di Dante, Petrarca e Boccaccio. Però le dimensioni, la dirompenza con cui vi siete convertiti è un qualcosa tutto, come piacerebbe dire a voi, made in italy. Infatti pensando ad altre lingue europee i vostri parigrado utilizzano correntemente il vocabolo originario per moltissime parole che in italiano non traduciamo più. Si può cercare in un qualsiasi dizionario di italiano e rilevare quanti termini inglesi vi entrino e poi ripetere l’operazione con un dizionario di un’altra lingua europea, per esempio spagnolo o francese, dove troveremmo addirittura la parola ordenador e ordinateur al posto di computer. Per non parlare poi del fenomeno dell’italianizzazione dei verbi inglesi, per me, la cosa più brutta: badgiare per dire passare il badge, o meglio timbrare il cartellino; googlare per dire cercare su google; e tanti altri ancora come swithciare, performare, schedulare, splittare, brandizzare….itanglese-pubblicita

Non è però solo una questione di globalizzazione, ma anche di peso culturale (e politico) di una nazione. Quando dico culturale non mi riferisco solamente alla cultura pregressa, quella dei nostri padri, dei nostri antenati, capaci millenni e secoli fa di essere guida politica e morale (leadership per chi solo così capisce), ma soprattutto alla capacità attuale di esportare un modello culturale, un sapere, di essere in grado di innovare in campi diversi. Proprio parlando di innovazione pensiamo a tutte le innovazioni tecnico-scientifiche degli ultimi 50 anni, come ad esempio, nel campo dell’informatica, del digitale, delle telecomunicazioni, delle scienze  e constatiamo che provengono in maggior parte dal mondo anglosassone. Quindi è naturale che per ogni nuova scoperta vengano inventate nuove parole, ovvero un nuovo lessico, aggiungendo poi il fatto che in molti campi arriviamo in ritardo, subendo l’innovazione, capiamo allora perchè assorbiamo la terminologia anglosassone. La stessa cosa però, almeno al medesimo livello, non avviene in altri paesi europei come Francia e Germania in testa, con cui, a differenza che con la dimensione del peso politico e culturale statunitense, ci potremmo confrontare. Diversamente essi, da un lato, sicuramente hanno più capacità di innovare, di produrre modelli da esportare, ma dall’altro, anche quando non producono novità non subiscono passivamente lo sviluppo e posseggono un’identità tale da rivolgere la propria lingua anche verso nuovi orizzonti. Si deduce allora che il futuro di una lingua è strettamente connesso con la potenza economica, politica e culturale di un popolo. In poche parole un’identità forte, cioè essere convinti di quello che si è, ovvero consapevolezza di essere nazione, è qualcosa che sta alla base ed è sempre presente affianco alla grandezza economica e politica.

Non è la lingua che cambia, ma sono le persone che cambiano la lingua, è il vostro modo di agire e di parlare che cambia la lingua. Spesso, a mio avviso, siamo troppo esterofili e voi apprezzate qualunque volgarismo straniero, disprezzando, invece, tutto ciò che è nostrano e vivendo con un senso di insicurezza ed inferiorità il confronto con ciò che è americano, ma anche francese o tedesco. Ci manca la consapevolezza di essere un popolo, del valore della nostra cultura (eppure a parole nessuno ha dubbi su ciò), di avere qualcosa da insegnare, da esportare agli altri. Svuotando l’italiano da ogni utilizzo pratico, perchè spesso, come abbiamo visto, i termini tecnici, commerciali, finanziari, giornalistici e così via vengono importati dall’inglese, anche quando esistono già, ne facciamo una lingua morta, come il latino, buona solo per essere studiata. Infatti sono anche i professori nelle università che utilizzano un lessico interrotto, cosa ben diversa dallo studiare in inglese per imparare anche quella lingua e le sue terminologie specifiche, che però non dovremmo sostituire all’italiano. Bene inteso che questa non è una filippica contro lo studio e l’apprendimento dell’inglese, anche perchè spesso a dare vita all’itanglese, a questo linguaggio, è chi l’inglese lo conosce solo di riflesso. Quindi una maggiore cultura linguistica, una migliore conoscenza anche dell’inglese aiuterebbe a non fondere e imbarbarire le due lingue. Infatti, persino il nostro Presidente del consiglio, ebbene si anche lui è dei vostri, solamente per piacere, chiama una legge della Repubblica italiana jobssss acttt,  in cui di italico vi è solo la sua pronuncia, oppure la Marina militare nelle sue campagne pubblicitarie di reclutamento scopre un nuovo mood usando il motto “Be cool and join the navy”. Però così avviene solo da noi, ancora una volta pensate alla Francia delle polemiche sulla riforma del lavoro di questi giorni, sulla Loi travail per l’appunto, e poi pensate che voi sul vostro giornale, scritto in itanglese, avete riportato invece la notizia parlando di jobs act francese, cancellando dalla storia la terminologia “legge o riforma del lavoro”. Pensate ora al mercato dei prodotti alimentari e della ristorazione, oppure alla letteratura, all’opera, all’arte, alla cultura più in generale dove è il nome o la desinenza italiana che da valore. Per esempio mi viene in mente il frapuccino o il marchio nespresso e così molti altri. Vi rendete conto che in questi campi è l’italiano che esporta il prodotto e la lingua? Spesso accade che all’estero apprezzino l’italiano e lo vogliano imparare sempre di più per la sua bellezza, per la sua storia, per il patrimonio letterario che ha dato all’umanità, mentre della tua lingua mio caro itanglese non frega niente a nessuno, a parte chi deve venderti happy meal a colazione, pranzo e cena. Infatti, notizia di qualche settimana fa, i nostri giornali riportavano, con stupore, che l’italiano è la quarta lingua più studiata al mondo, dopo inglese, francese e spagnolo, ma prima di cinese, tedesco e giapponese. Ora mi rivolgo alla nostra classe dirigente anch’essa che parla itanglese e che spesso dice che la cultura italiana è la nostra leva sul prodotto interno lordo, sulle esportazioni, l’unica nostra risorsa per contrastare i giganti economici mondiali. Vi rendete conto che se uccidete l’italiano, la cultura e la letteratura fatta in italiano, che ci resta da esportare? Forse ci resta ancora l’italietta da pizza pasta e mandolino, ma nient’altro e, attento, che ucciderete anche quella a suon di McMenu. L’italietta d’altro canto è la stessa che ci porta ad essere marginali in politica estera, a subire le politiche degli altri paesi così come subiamo le innovazioni sulla lingua. In poche parole la nostra storia e il valore del patrimonio culturale lasciatoci da chi ha abitato l’Italia prima di noi ci sovrasta e non dimostriamo nemmeno di essere all’altezza nel suo mantenimento.  IpinZiconBFUlIN-800x450-noPad

Quel che dico mi sembra evidente e soprattutto pericoloso e dannoso alla nostra comunità, che esiste, dal momento che ci facciamo rappresentare dalla stessa classe dirigente, che poi dovrebbe tutelare il nostro interesse. Molti di voi sono però sordi a questi discorsi, altri si trovano d’accordo, ma poi è troppo forte la tentazione, è troppo difficile parlare italiano. Infine c’è anche chi si indigna, chi taccia questa polemica di vetero imperialismo o peggio di fascismo, la qual sindrome ci preclude pure l’orgoglio nazionale. Insomma non trovi che per una nazione politicamente forte, che garantisca il benessere ai cittadini e la prosperità alle aziende sia essenziale l’apporto culturale, avere un’identità condivisa dalla quale non puoi togliere il patrimonio linguistico?  Il che vuol dire prima di tutto “fare gli italiani”. Bene ora mi chiederai come si fa e mi dirai che non ci siamo riusciti in 150 anni. Ti rispondo  che è vero e che proprio questo è il problema, anche se siamo una nazione relativamente giovane, ma per crescere e prosperare non abbiamo altra strada. Questa strada passa anche per la tutela e la valorizzazione del nostro patrimonio ed identità linguistica.

Brexit: Opinioni a confronto

Per alcuni l’uscita della Gran Bretagna(leggasi Brexit) dall’Unione Europea è il primo passo verso il tracollo totale del sogno di Adenauer, De Gasperi e Schuman, per altri invece, può essere l’opportunità che darà all’Unione la sterzata verso la giusta direzione.

Pur essendo troppo presto per trarre delle conclusioni, noi di Direzione Europa abbiamo cercato di capire le possibili conseguenze, da prospettive opposte, con i pareri dei nostri Alberto Ghiraldo e Matteo Zanellato.

JG: Sono le 8 del mattino di venerdì 24 giugno, ormai i risultati sono ufficiali. Quali sono state le tue reazioni?

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Patriottismo ed Europa

Nel nostro Paese il patriottismo non è sentito, non è vissuto, oppure viene percepito come qualcosa di astratto, di puramente retorico. Ma questa parola ha forse un significato concreto, positivo, che è andato perduto?

Qual è la differenza fra un popolo che vive patriotticamente, i cui cittadini sono legati e orgogliosi della propria bandiera, storia, cultura, istituzioni e un Paese nel quale vi è distacco, indifferenza verso questi sentimenti? Tutto ciò rende una nazione forte, potente ed economicamente avanzata?

E ancora cos’è l’Europa in cui viviamo e che Europa ci dobbiamo aspettare nel futuro? Qual è la percezione di Italia ed Europa?

oriana-fallaciCon incredibile lucidità nel 2001 Oriana Fallaci era in grado di vedere chiaramente le contraddizioni che oggi portano l’Unione Europea sull’orlo della disintegrazione. Di fronte allo smarrimento, alla mancanza di valori in cui viviamo la Fallaci cerca di tirare una linea, di dare una bussola che indichi una direzione chiara.

Infatti nel libro “La rabbia e l’orgoglio“, scritto subito dopo gli attentati dell’11 settembre, racconta di come il popolo americano reagì a quella terribile prova e in poche righe rende concreti quei sentimenti che a noi sembrano così astratti e lontani. Quindi, concludendo, spiega le sue idee di Italia e di Europa, che sono anche le mie, ma così bene non saprei presentarle.

Così, quando ho visto bianchi e neri piangere abbracciati, dico abbracciati, quando ho visto democratici e repubblicani cantare abbracciati «God save America, Dio salvi l’ America», quando gli ho visto cancellare tutte le divergenze, sono rimasta di stucco. Lo stesso, quando ho udito Bill Clinton (persona verso la quale non ho mai nutrito tenerezze) dichiarare «Stringiamoci intorno a Bush, abbiate fiducia nel nostro presidente». Lo stesso, quando le medesime parole sono state ripetute con forza da sua moglie Hillary ora senatore per lo Stato di New York. Lo stesso, quando sono state reiterate da Lieberman, l’ex candidato democratico alla vice-presidenza. (Soltanto lo sconfitto Al Gore è rimasto squallidamente zitto). E lo stesso quando il Congresso ha votato all’ unanimità d’accettare la guerra, punire i responsabili. Ah, se l’Italia imparasse questa lezione! È un Paese così diviso, l’Italia. Così fazioso, così avvelenato dalle sue meschinerie tribali! Si odiano anche all’interno dei partiti, in Italia. Non riescono a stare insieme nemmeno quando hanno lo stesso emblema, lo stesso distintivo, perdio! Gelosi, biliosi, vanitosi, piccini, non pensano che ai propri interessi personali. Alla propria carrieruccia, alla propria gloriuccia, alla propria popolarità di periferia. Pei propri interessi personali si fanno i dispetti, si tradiscono, si accusano, si sputtanano… Io sono assolutamente convinta che, se Usama Bin Laden facesse saltare in aria la Torre di Giotto o la Torre di Pisa, l’opposizione darebbe la colpa al governo. E il governo darebbe la colpa all’opposizione. I capoccia del governo e i capoccia dell’opposizione, ai propri compagni e ai propri camerati. E detto ciò lasciami spiegare da che cosa nasce la capacità di unirsi che caratterizza gli americani. Nasce dal loro patriottismo. Io non so se in Italia avete visto e capito quel che è successo a New York quando Bush è andato a ringraziar gli operai (e le operaie) che scavando nelle macerie delle due torri cercano di salvare qualche superstite ma non tiran fuori che qualche naso o qualche dito. Senza cedere, tuttavia. Senza rassegnarsi, sicché se gli domandi come fanno ti rispondono: «I can allow myself to be exhausted not to be defeated. Posso permettermi d’essere esausto, non d’essere sconfitto». Tutti. Giovani, giovanissimi, vecchi, di mezz’ età. Bianchi, neri, gialli, marroni, viola… L’avete visti o no? Mentre Bush li ringraziava non facevano che sventolare le bandierine americane, alzare il pugno chiuso, ruggire: «Iuessè! Iuessè! Iuessè! Usa! Usa! Usa!». In un paese totalitario avrei pensato: «Ma guarda come l’ha organizzata bene il Potere!». In America, no. In America queste cose non le organizzi. Non le gestisci, non le comandi. Specialmente in una metropoli disincantata come New York, e con operai come gli operai di New York. Sono tipacci, gli operai di New York. Più liberi del vento. Quelli non obbediscono neanche ai loro sindacati. Ma se gli tocchi la bandiera, se gli tocchi la Patria…

In inglese la parola Patria non c’è. Per dire Patria bisogna accoppiare due parole. Father Land, Terra dei Padri. Mother Land, Terra Madre. Native Land, Terra Nativa. O dire semplicemente My Country, il Mio Paese. Però il sostantivo Patriotism c’è. L’ aggettivo Patriotic c’è. E a parte la Francia, forse non so immaginare un Paese più patriottico dell’ America. Ah! Io mi son tanto commossa a vedere quegli operai che stringendo il pugno e sventolando la bandiera ruggivano Iuessè-Iuessè-Iuessè, senza che nessuno glielo ordinasse. E ho provato una specie di umiliazione. Perché gli operai italiani che sventolano il tricolore e ruggiscono Italia-Italia io non li so immaginare. Nei cortei e nei comizi gli ho visto sventolare tante bandiere rosse. Fiumi, laghi, di bandiere rosse. Ma di bandiere tricolori gliene ho sempre viste sventolar pochine. Anzi nessuna. Mal guidati o tiranneggiati da una sinistra arrogante e devota all’ Unione Sovietica, le bandiere tricolori le hanno sempre lasciate agli avversari. E non è che gli avversari ne abbiano fatto buon uso, direi. Non ne hanno fatto nemmeno spreco, graziaddio. E quelli che vanno alla Messa, idem. Quanto al becero con la camicia verde e la cravatta verde, non sa nemmeno quali siano i colori del tricolore. Mi-sun-lumbard, mi-sun-lumbard. Quello vorrebbe riportarci alle guerre tra Firenze e Siena. Risultato, oggi la bandiera italiana la vedi soltanto alle Olimpiadi se per caso vinci una medaglia. Peggio: la vedi soltanto negli stadi, quando c’è una partita internazionale di calcio. Unica occasione, peraltro, in cui riesci a udire il grido Italia-Italia. Eh! C’è una bella differenza tra un paese nel quale la bandiera della Patria viene sventolata dai teppisti negli stadi e basta, e un paese nel quale viene sventolata dal popolo intero. Ad esempio, dagli irreggimentabili operai che scavano nelle rovine per tirar fuori qualche orecchio o qualche naso delle creature massacrate dai figli di Allah.

[…]

Qual è la mia Europa? qual è la mia Italia? Oddio, il primo quesito è difficile. Dacchè stiamo diventando una provincia dell’Islam la parola Europa mi ricorda la battuta con cui nell’Ottocento l’austriaco Metternich avviliva i nostri patrioti del Risorgimento: “L’Italia non esiste. L’Italia è una mera espressione geografica”. Bè….Nonostante l’ovvio e intrinseco interesse che aveva a dire una tale sciocchezza, mi son sempre chiesta se Metternich non fosse guidato da un maligno gusto del paradosso. L’Italia non è mai stata una mera espressione geografica. Anche quando languiva divisa in Stati e staterelli, tagliata a pezzi come un pollo arrosto, era un paese sentimentalmente e culturalmente unito.

Dalle Alpi allo Ionio si parlava italiano, si scriveva in italiano, si pensava in italiano, e le nostre radici affondavano dentro un humus comune. L’Europa, no. D’accordo: quando la cultura alla quale appartengo, la civiltà di cui nonostante le innumerevoli pecche vado orgogliosa, le attribuisco una fisionomia ben precisa. Le riconosco un’identità che va ben oltre i connotati geografici del continente posto fra l’Atlantico e il Mediterraneo, il Mar Nero e il Mar di Norvegia. Però quell’identità, quella fisionomia, le deriva dal passato di cui non mi stanco mai di parlare. Il passato che parte dall’Antica Grecia e dall’Antica Roma poi prosegue con la Rivoluzione Cristiana, il diffamato Medioevo, il Rinascimento, l’Illuminismo, le lotte per la libertà e l’uguaglianza, le conquiste della modernità. Un passato da cui non si prescinde e che tuttavia l’Europa d’oggi rinnega, cerca di spegnere, incominciando dal cristianesimo di cui siamo imbevuti. Ma neanche il cristianesimo basta ad amalgamare la babele di lingue e il mosaico di paesi che compongono l’Europa. Neanche lui basta a render l’Europa un’entità compatta come l’altra fisionomia dell’Occidente ossia gli Stati Uniti d’America. Sai perchè? Perchè l’humus nel quale affondiamo le nostre radici non è mai lo stesso. E’ formato da elementi diversi e spesso in contrasto fra loro. (Ammetterai che fra un normanno e un catalano o fra un parigino e un siciliano v’è più differenza di quanta ve ne sia fra un torinese e un napoletano, o un milanese e un pugliese). E, sopratutto, non è un humus che parla la medesima lingua. L’Europa parla francese, inglese, danese, norvegese, ungherese, portoghese, finlandese, cèco, polacco, slovacco, bulgaro, rumeno, lituano, estone, lèttone, eccetera. E ciascuna di queste lingue rappresenta una patria. Una natura, una storia, un retaggio di idee e abitudini e di effetti, quindi un tesoro da salvaguardare. La Patria non è un’opinione. O una bandiera e basta. La Patria è un vincolo fatto di molti vincoli che stanno nella nostra carne e nella nostra anima, nella nostra memoria genetica. E’ un legame che non si può estirpare come un pelo inopportuno.

Gli americani dicono che si può. Per dimostrarlo rompono il vincolo, trasferiscono le vecchie bandiere nella bandiera a cinquanta stelle, e parlando un’unica lingua cioè la medesima lingua si innestano fra loro. Dimenticano la patria che hanno abbandonato, diventano americani. Io-sono-americano. Ma sebbene l’America sia un fenomeno irripetibile perchè sorto in un continente quasi vuoto, senza passato e senza vette di civiltà, viene sempre il momento in cui lo io-sono-americano torna ad essere io-sono-cinese o sono-italiano o sono-africano eccetera. Viene sempre il momento in cui un americano capisce che il vincolo non era rotto. Che anche parlando l’unica lingua ossia la medesima lingua pensa e sente nella lingua della patria abbandonata. Del resto anche l’Unione Sovietica tentò di fare ciò che vuol fare l’Unione Europea. Abolì le patrie e, incollando l’uomo di Mosca con l’uomo di Odessa, la donna di Pietroburgo con la donna di Samarcanda, creò una super-Patria. Un super-Stato, una super-Nazione. Ma appena l’ideologia comunista crollò, tutti si scollarono e ripresero le vecchie bandiere. Così a coloro che pretendono di ripetere in Europa l’irripetibile fenomeno americano dico: non ci riuscirete mai. La vostra super-Patria, il vostro super-Stato, la vostra super-Nazione tenuta insieme dall’ideologia del denaro e basta, si sfascerà come l’Unione Sovietica. Noi possiamo fare soltanto ciò che diceva mio padre, cioè una Grande Famiglia che ci impedisca di guerreggiare fra noi, ammazzarci fra noi come ci si ammazzava tra Firenze e Siena o durante la Prima e la Seconda Guerra Mondiale. (E non è poco). Il guaio è che nelle famiglie c’è sempre qualcuno che vuole comandare sugli altri, imporre la sua egemonia. Nonchè qualcuno che tradisce. Che porta in casa il nemico, che vende sè stesso e i propri figli e i propri fratelli al nemico. L’Europa d’oggi è proprio questo, così alla prima domanda rispondo: l’Europa che vorrei è tutto il contrario di ciò che è. E che continuerà ad essere finchè si sfascerà come un castello di carte, di bugie e di inganni.

Quanto alla seconda domanda, il discorso è breve. Perchè è un discorso che riguarda la mamma, e la mamma resta la mamma anche se si comporta male. Anche se partecipa al tradimento. Anche se ti fa soffrire. Così, e a costo di sembrare retorica o ingenua, rispondo: semplice, caro mio, semplice. L’Italia che vorrei è un’Italia che si oppone alle Italie in cui non mi riconosco: un’Italia ideale. Un’Italia coraggiosa, dignitosa, seria, un’Italia che non si consegna al nemico. Che non si lascia intimidire da chi spalanca le porte al nemico, che non si lascia ricattare o rincretinire dalle bestialità dei Politically Correct. Che va fiera della sua identità, che saluta la bandiera bianca rossa e verde mettendo la mano sul cuore non sul sedere. L’Italia, insomma, che sognavo quand’ero ragazzina e non avevo un paio di scarpe decenti ma credevo in un futuro migliore. E sai che aggiungo? Aggiungo che a pensarci bene quest’Italia non è un’Italia ideale. E’ un’Italia che nonostante tutto esiste. Zittita, ridicolizzata, sbeffeggiata, diffamata, insultata, ma esiste. Quindi guai a chi me la tocca. Guai a chi me la invade, guai a chi me la ruba. Perchè (se non l’hai ancora capito te lo ripeto con maggiore chiarezza) che a invaderla siano i francesi di Napoleone o gli austriaci di Francesco Giuseppe o i tedeschi di Hitler o i compari di Osama Bin Laden, per me è lo stesso. Che per invaderla usino i cannoni o i gommoni, idem.

Stop. Quello che avevo da dire l’ho detto. La rabbia e l’orgoglio me l’hanno ordinato. La coscienza pulita e l’età me l’hanno consentito. Ora basta. Punto e basta.

Emissioni Nox al 110%: L’altra faccia dell’Europa

smog emissioni auto

Mentre l’Ocse lancia l’allarme per l’aumento di morti a causa delle polveri sottili e si diffondono gli scandali sui test per evadere i controlli sulle emissioni delle auto, arriva la notizia che il Parlamento Europeo ha approvato la proposta della Commissione di aumentare le soglie consentite ad inquinare. Nonostante i considerevoli allarmi avvertiti e valutati dall’Agenzia Europea per l’Ambiente, il PE ha deciso di approvare questa modifica, causando un dibattito politico e sociale enorme. Da una parte, il fronte composto dal centrodestra dove eurodeputati di Forza Italia e Lega Nord, hanno votato a favore; dall’altra, il fronte ecologista (composto non solo dai Verdi ma anche dagli eurodeputati penta stellati e membri del PD) che ha avviato un’immediata mobilitazione proponendo una mozione contro il regime provvisorio adottato. Ovviamente quest’azione non è riuscita a fare una breccia in un Parlamento che, ora più che mai, sembra essere controllato dagli interessi economici delle grandi lobby.

Cosa cambia ora? Rispetto al Regolamento Europeo del 2007 che stabiliva per i veicoli Euro 6 il limite di emissioni di ossidi di azoto pari a 80 milligrammi per chilometro, con la nuova normativa il limite è stato più che raddoppiato. Inoltre, i test non verranno più eseguiti in laboratorio ma bensì sul campo, ovvero su strada. Quali le conseguenze? Prima di tutto sulla salute. Gli ossidi di azoto (Nox), originati dalla combustione, se in contatto con gli idrocarburi volatili (come ad esempio vernici o benzina) provocherebbero infatti danni all’apparato respiratorio, dando origine a tosse, irritazioni, bronchiti, polmoniti e asma.

Il nuovo regolamento che dovrà durare fino al 2017, per questo definito «provvisorio», sembra essere del tutto contrario all’atteggiamento finora mostrato dall’Unione Europea, la quale si è sempre mostrata impegnata nella tutela dell’ambiente, facendo di questo un obiettivo di primo ordine. Ora, questo cambiamento di rotta, a causa forse della pressione delle lobby automobilistiche, potrebbe far pensare ad un diverso atteggiamento dell’Unione nei confronti dell’ambiente.

L’Ue negli anni passati ha mostrato un forte impegno nella tutela dell’ambiente e nel contrasto al riscaldamento globale, sia attraverso la sua presenza durante le conferenze internazionali (COP Unfccc) sia attraverso la sua politica ambientale che risale al 1972.

L’UE ha siglato il protocollo di Kyoto (sottoscritto nel 1997 ma entrato in vigore nel febbraio 2005), il quale impegnava le parti a ridurre quantitativamente le emissioni di gas ad effetto serra attraverso un sistema di monitoraggio delle emissioni da aggiornare annualmente, insieme alla definizione di misure al fine di ridurre le emissioni stesse. In seguito, l’UE ha partecipato a tutte le altre conferenze internazionali sul clima (le cosiddette COP-Conferenze delle Parti-, nell’ambito della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici); conferenze che però non hanno portato a risultati significativi. Nel dicembre del 2009 c’è stata la Conferenza di Copenaghen (COP15) che ha lasciato grande delusione in quanto non si è riusciti a raggiungere alcun accordo. Anche la seguente conferenza di Cancun (COP16 del dicembre 2010) non è riuscita a dar vita ad un’azione coordinata tra gli Stati partecipanti per contrastare il cambiamento climatico; allo stesso modo tale obiettivo è fallito anche con la recente Conferenza di Durban (COP17 del dicembre 2011) e con le seguenti. E l’ultima COP21 di Parigi? Se prendiamo in considerazione la dichiarazione del noto climatologo statunitense James Hansen alla conclusione della Conferenza, il quale ha definito l’accordo una «truffa» in quanto contiene «solo promesse e non azioni», potremmo dire che nemmeno la COP21 di Parigi ha fatto grandi passi in avanti in tema di riduzione delle emissioni. L’accordo infatti, sembra essere insufficiente rispetto agli obiettivi di tutela del clima dallo stesso individuati, non è vincolante (o almeno non in tutte le sue parti) e non entra in vigore nell’immediato. Tuttavia, è bene sottolineare gli aspetti positivi che sono emersi da quest’ultima Conferenza delle Parti. In primo luogo, può esser definita come la migliore dopo Kyoto, inoltre l’accordo coinvolge un numero elevato di nazioni (193 paesi) e quindi è ampiamente condiviso a livello mondiale, e le parti si sono impegnate a mettere al centro delle loro azioni la promozione delle fonti energetiche rinnovabili. Sono cinque i punti chiave dell’accordo: il riscaldamento globale, l’obiettivo di lungo termine sulle emissioni, loss and damage (viene stabilita la destinazione di fondi ai paesi vulnerabili), i finanziamenti e la trasparenza.

Tuttavia, l’Unione Europea con la decisione di aumentare il limite delle emissioni sembra andare in senso contrario alla direzione del summit internazionale contro i cambiamenti climatici. La COP21 è apparso come un mero evento internazionale che ha raccolto una visione idealistica di collaborazione su un piano delicato e sempre più problematico; cooperazione dalla quale l’UE si è discostata per privilegiare gli interessi economici delle lobby.

L’UE si è impegnata a livello ambientale anche attraverso la sua politica che si applica ai soli 28 stati membri. La sua azione in tale ambito risale al Consiglio Europeo di Parigi tenutosi nel 1972, in occasione del quale i capi di stato e di governo hanno dichiarato la necessità di dar vita ad una politica europea sull’ambiente. In seguito, l’Atto Unico Europeo del 1987 ha introdotto un nuovo titolo, «Ambiente», che ha fornito la prima base giuridica per una politica finalizzata a salvaguardare la qualità dell’ambiente, a proteggere la salute umana e a garantire un uso razionale delle risorse naturali. Le successive revisioni dei Trattati hanno rafforzato l’impegno europeo così come il ruolo del Parlamento Europeo in tema di ambiente. Il Trattato di Maastricht (1993) ha introdotto la procedura di co-decisione e il voto a maggioranza qualificata in seno al Consiglio; il trattato di Amsterdam (1999) ha introdotto l’obbligo di inserire la tutela dell’ambiente in tutte le altre politiche settoriali dell’Unione, al fine di favorire uno sviluppo sostenibile; con il Trattato di Lisbona (2009) infine, l’obiettivo di “combattere i cambiamenti climatici” è stato messo al centro della discussione politica, così come il perseguimento dello sviluppo sostenibile nelle relazioni con i paesi terzi.

La volontà di perseguire un’azione a tutela dell’ambiente si è manifestata inoltre con l’ultima programmazione «Europa 2020», tra i cui obiettivi vi è proprio il clima e l’energia. Questa strategia si basa sulla crescita sostenibile (oltre che innovativa e intelligente) dove la diminuzione delle emissioni a tutela dell’ambiente è un punto essenziale. L’UE, infatti, si impegna a ridurre del 20% le emissioni di gas serra rispetto al 1990, a ricavare il 20% del fabbisogno energetico da fonti rinnovabili e ad aumentare del 20% l’efficienza energetica.

In conclusione, l’aumento delle emissioni, risulta essere più che contraddittorio. In accordo con la crescita sostenibile, cosa ci può essere di sostenibile ad innalzare il limite consentito delle emissioni? Forse in questo caso il concetto di sostenibilità è stato applicato alle case automobilistiche e ai rigidi interventi che avrebbero dovuto trovare applicazione. Questo episodio, infatti, è stato considerato come una sanatoria nei confronti del dieselgate e come un grosso favore alla Merkel. Quando la via illegale non è più possibile occorre, allora, legalizzare, cambiando la regolamentazione.

Ebbene, come spiegare allora il comportamento delle istituzioni europee a favore di un aumento delle emissioni di azoto nell’aria, in luce di questi forti impegni che vanno in senso opposto? Un’ennesima contraddizione nell’azione europea che richiede spiegazioni e un ulteriore episodio che conferma le criticità dell’Unione Europa facendola risultare distante dall’Unione ideale che dovrebbe essere. Un sistema politico comandato dalle lobby, da interessi economici e dagli Stati Membri più forti. Siamo arrivati in un momento in cui, le decisioni europee che esplicitamente vanno contro gli obiettivi programmati, risultano lo stesso giustificate e legittimate. Ma quando questo accade, si mette in discussione l’identità stessa dell’unione.

Elena Ceretta

Giovanni Simonato

Inno europeo o una melodia da suonare occasionalmente?

europa e inno

Pace, libertà e solidarietà sono gli ideali (alcuni difficilmente perseguiti) dell’identità europea. Questi valori vengono trasmessi dai simboli comuni (bandiera, inno…) il cui scopo è quello di creare l’identità e il senso europeo.

L’Unione europea è provvista di un inno, infatti, all’indomani del vertice di Milano e della rinnovata spinta al processo d’integrazione europea prodotta dall’Atto Unico Europeo, il Consiglio Europeo adotta l’Inno alla Gioia come Inno dell’Unione Europea. Quest’inno è tratto dalla Nona sinfonia di Beethoven del 1823, ma steso da Schiller nel 1785. Il compositore, aveva appositamente caricato la melodia di una valenza molto forte. Questa, infatti, comunica la visione idealistica di fratellanza fra gli uomini. Ed è proprio per questo motivo che è priva di testo, per poter comunicare lo stesso messaggio secondo un linguaggio unico, quello della musica.

L’inno dell’UE, come qualsiasi altro simbolo europeo, non mira a sostituire quelli nazionali anche perché un’azione di questo tipo sarebbe in contrasto con uno dei principi fondamentali dell’Unione Europea. L’inno alla Gioia va ad aggiungersi ai rispettivi inni nazionali, come per le bandiere, come per la cittadinanza, al fine di celebrare i valori che i 28 Stati condividono. Noi italiani siamo cittadini dello Stato Italiano ma, anche, cittadini europei. Tuttavia l’utilizzo dell’Inno in questione è veramente limitato a eventi ufficiali delle istituzioni europee. Perché manca un’adeguata diffusione, considerando la funzione principale di questo simbolo comune? Dai primi anni 2000, il sentimento europeista scema sempre di più, in favore di un “Euroscetticismo” sempre più rafforzato. Ovviamente questo cambiamento fu prodotto in seguito alla realizzazione dell’Unione Economico Monetaria e dei relativi sacrifici effettuati. Tuttavia, molte volte si è denunciata la carenza di una identità europea, del sentirsi europei. Camminando per i centri storici italiani (ma anche europei), in prossimità delle istituzioni locali, si stagliano sempre (e come minimo) due bandiere (per legge): quella italiana e quella europea. Già un primo passo verso il sentirsi europei è stato realizzato. Ma perché questo non si attua anche con l’Inno europeo? Perché prima di una partita di calcio, in uno stadio, l’Inno alla Gioia non viene suonato, soprattutto se sono due squadre europee a competere? Perché nelle cerimonie ufficiali nazionali, quest’inno non viene suonato dopo quello nazionale, dato che siamo italiani, ma anche europei? I costi della prima e della seconda guerra mondiale sono stati condivisi dagli stati europei. L’olocausto e tutte le conseguenze del Nazismo sono state vissute da tutti gli Stati europei. I ventotto stati, non hanno condiviso solo semplice storia, ma un’identità simile che ovviamente nel corso degli anni ha trovato ventotto vie diverse, ma con delle radici comuni.

Sebbene sia passato più di un mese dalla giornata della memoria, sono in dovere di raccontare un episodio. Da un diretta testimonianza di un sopravvissuto, l’Inno alla Gioia gli ha salvato la vita! Un prigioniero, suonando con un clarinetto, quello che sarebbe diventato l’Inno europeo, è riuscito a sopravvivere ai campi di concentramento, per il mero fatto che allietava le truppe naziste. Questa melodia ha per questo sopravvissuto un valore incommensurabile. Molti cittadini europei non sanno nemmeno che esista un inno comune per i ventotto paesi, mentre sanno dell’esistenza di una bandiera comune.

Ridurre a suonare quest’inno in occasione delle cerimonie ufficiali delle istituzioni europee, non permette una efficace trasmissione dei valori propri della bandiera a ventotto stelle ai cittadini europei. La mancanza di far risuonare quest’inno al pari di quelli rispettivi di ogni Stato, rappresenta un’enorme buco che, in parte, va a spiegare la mancanza di quel “non sentirsi” europeo e di un senso europeo debole. “Siamo italiani, ma anche europei”. Un concetto che rischia di non essere adeguatamente perpetuato e applicato, soprattutto nei confronti delle nuove generazioni.

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