Patriottismo ed Europa

Nel nostro Paese il patriottismo non è sentito, non è vissuto, oppure viene percepito come qualcosa di astratto, di puramente retorico. Ma questa parola ha forse un significato concreto, positivo, che è andato perduto?

Qual è la differenza fra un popolo che vive patriotticamente, i cui cittadini sono legati e orgogliosi della propria bandiera, storia, cultura, istituzioni e un Paese nel quale vi è distacco, indifferenza verso questi sentimenti? Tutto ciò rende una nazione forte, potente ed economicamente avanzata?

E ancora cos’è l’Europa in cui viviamo e che Europa ci dobbiamo aspettare nel futuro? Qual è la percezione di Italia ed Europa?

oriana-fallaciCon incredibile lucidità nel 2001 Oriana Fallaci era in grado di vedere chiaramente le contraddizioni che oggi portano l’Unione Europea sull’orlo della disintegrazione. Di fronte allo smarrimento, alla mancanza di valori in cui viviamo la Fallaci cerca di tirare una linea, di dare una bussola che indichi una direzione chiara.

Infatti nel libro “La rabbia e l’orgoglio“, scritto subito dopo gli attentati dell’11 settembre, racconta di come il popolo americano reagì a quella terribile prova e in poche righe rende concreti quei sentimenti che a noi sembrano così astratti e lontani. Quindi, concludendo, spiega le sue idee di Italia e di Europa, che sono anche le mie, ma così bene non saprei presentarle.

Così, quando ho visto bianchi e neri piangere abbracciati, dico abbracciati, quando ho visto democratici e repubblicani cantare abbracciati «God save America, Dio salvi l’ America», quando gli ho visto cancellare tutte le divergenze, sono rimasta di stucco. Lo stesso, quando ho udito Bill Clinton (persona verso la quale non ho mai nutrito tenerezze) dichiarare «Stringiamoci intorno a Bush, abbiate fiducia nel nostro presidente». Lo stesso, quando le medesime parole sono state ripetute con forza da sua moglie Hillary ora senatore per lo Stato di New York. Lo stesso, quando sono state reiterate da Lieberman, l’ex candidato democratico alla vice-presidenza. (Soltanto lo sconfitto Al Gore è rimasto squallidamente zitto). E lo stesso quando il Congresso ha votato all’ unanimità d’accettare la guerra, punire i responsabili. Ah, se l’Italia imparasse questa lezione! È un Paese così diviso, l’Italia. Così fazioso, così avvelenato dalle sue meschinerie tribali! Si odiano anche all’interno dei partiti, in Italia. Non riescono a stare insieme nemmeno quando hanno lo stesso emblema, lo stesso distintivo, perdio! Gelosi, biliosi, vanitosi, piccini, non pensano che ai propri interessi personali. Alla propria carrieruccia, alla propria gloriuccia, alla propria popolarità di periferia. Pei propri interessi personali si fanno i dispetti, si tradiscono, si accusano, si sputtanano… Io sono assolutamente convinta che, se Usama Bin Laden facesse saltare in aria la Torre di Giotto o la Torre di Pisa, l’opposizione darebbe la colpa al governo. E il governo darebbe la colpa all’opposizione. I capoccia del governo e i capoccia dell’opposizione, ai propri compagni e ai propri camerati. E detto ciò lasciami spiegare da che cosa nasce la capacità di unirsi che caratterizza gli americani. Nasce dal loro patriottismo. Io non so se in Italia avete visto e capito quel che è successo a New York quando Bush è andato a ringraziar gli operai (e le operaie) che scavando nelle macerie delle due torri cercano di salvare qualche superstite ma non tiran fuori che qualche naso o qualche dito. Senza cedere, tuttavia. Senza rassegnarsi, sicché se gli domandi come fanno ti rispondono: «I can allow myself to be exhausted not to be defeated. Posso permettermi d’essere esausto, non d’essere sconfitto». Tutti. Giovani, giovanissimi, vecchi, di mezz’ età. Bianchi, neri, gialli, marroni, viola… L’avete visti o no? Mentre Bush li ringraziava non facevano che sventolare le bandierine americane, alzare il pugno chiuso, ruggire: «Iuessè! Iuessè! Iuessè! Usa! Usa! Usa!». In un paese totalitario avrei pensato: «Ma guarda come l’ha organizzata bene il Potere!». In America, no. In America queste cose non le organizzi. Non le gestisci, non le comandi. Specialmente in una metropoli disincantata come New York, e con operai come gli operai di New York. Sono tipacci, gli operai di New York. Più liberi del vento. Quelli non obbediscono neanche ai loro sindacati. Ma se gli tocchi la bandiera, se gli tocchi la Patria…

In inglese la parola Patria non c’è. Per dire Patria bisogna accoppiare due parole. Father Land, Terra dei Padri. Mother Land, Terra Madre. Native Land, Terra Nativa. O dire semplicemente My Country, il Mio Paese. Però il sostantivo Patriotism c’è. L’ aggettivo Patriotic c’è. E a parte la Francia, forse non so immaginare un Paese più patriottico dell’ America. Ah! Io mi son tanto commossa a vedere quegli operai che stringendo il pugno e sventolando la bandiera ruggivano Iuessè-Iuessè-Iuessè, senza che nessuno glielo ordinasse. E ho provato una specie di umiliazione. Perché gli operai italiani che sventolano il tricolore e ruggiscono Italia-Italia io non li so immaginare. Nei cortei e nei comizi gli ho visto sventolare tante bandiere rosse. Fiumi, laghi, di bandiere rosse. Ma di bandiere tricolori gliene ho sempre viste sventolar pochine. Anzi nessuna. Mal guidati o tiranneggiati da una sinistra arrogante e devota all’ Unione Sovietica, le bandiere tricolori le hanno sempre lasciate agli avversari. E non è che gli avversari ne abbiano fatto buon uso, direi. Non ne hanno fatto nemmeno spreco, graziaddio. E quelli che vanno alla Messa, idem. Quanto al becero con la camicia verde e la cravatta verde, non sa nemmeno quali siano i colori del tricolore. Mi-sun-lumbard, mi-sun-lumbard. Quello vorrebbe riportarci alle guerre tra Firenze e Siena. Risultato, oggi la bandiera italiana la vedi soltanto alle Olimpiadi se per caso vinci una medaglia. Peggio: la vedi soltanto negli stadi, quando c’è una partita internazionale di calcio. Unica occasione, peraltro, in cui riesci a udire il grido Italia-Italia. Eh! C’è una bella differenza tra un paese nel quale la bandiera della Patria viene sventolata dai teppisti negli stadi e basta, e un paese nel quale viene sventolata dal popolo intero. Ad esempio, dagli irreggimentabili operai che scavano nelle rovine per tirar fuori qualche orecchio o qualche naso delle creature massacrate dai figli di Allah.

[…]

Qual è la mia Europa? qual è la mia Italia? Oddio, il primo quesito è difficile. Dacchè stiamo diventando una provincia dell’Islam la parola Europa mi ricorda la battuta con cui nell’Ottocento l’austriaco Metternich avviliva i nostri patrioti del Risorgimento: “L’Italia non esiste. L’Italia è una mera espressione geografica”. Bè….Nonostante l’ovvio e intrinseco interesse che aveva a dire una tale sciocchezza, mi son sempre chiesta se Metternich non fosse guidato da un maligno gusto del paradosso. L’Italia non è mai stata una mera espressione geografica. Anche quando languiva divisa in Stati e staterelli, tagliata a pezzi come un pollo arrosto, era un paese sentimentalmente e culturalmente unito.

Dalle Alpi allo Ionio si parlava italiano, si scriveva in italiano, si pensava in italiano, e le nostre radici affondavano dentro un humus comune. L’Europa, no. D’accordo: quando la cultura alla quale appartengo, la civiltà di cui nonostante le innumerevoli pecche vado orgogliosa, le attribuisco una fisionomia ben precisa. Le riconosco un’identità che va ben oltre i connotati geografici del continente posto fra l’Atlantico e il Mediterraneo, il Mar Nero e il Mar di Norvegia. Però quell’identità, quella fisionomia, le deriva dal passato di cui non mi stanco mai di parlare. Il passato che parte dall’Antica Grecia e dall’Antica Roma poi prosegue con la Rivoluzione Cristiana, il diffamato Medioevo, il Rinascimento, l’Illuminismo, le lotte per la libertà e l’uguaglianza, le conquiste della modernità. Un passato da cui non si prescinde e che tuttavia l’Europa d’oggi rinnega, cerca di spegnere, incominciando dal cristianesimo di cui siamo imbevuti. Ma neanche il cristianesimo basta ad amalgamare la babele di lingue e il mosaico di paesi che compongono l’Europa. Neanche lui basta a render l’Europa un’entità compatta come l’altra fisionomia dell’Occidente ossia gli Stati Uniti d’America. Sai perchè? Perchè l’humus nel quale affondiamo le nostre radici non è mai lo stesso. E’ formato da elementi diversi e spesso in contrasto fra loro. (Ammetterai che fra un normanno e un catalano o fra un parigino e un siciliano v’è più differenza di quanta ve ne sia fra un torinese e un napoletano, o un milanese e un pugliese). E, sopratutto, non è un humus che parla la medesima lingua. L’Europa parla francese, inglese, danese, norvegese, ungherese, portoghese, finlandese, cèco, polacco, slovacco, bulgaro, rumeno, lituano, estone, lèttone, eccetera. E ciascuna di queste lingue rappresenta una patria. Una natura, una storia, un retaggio di idee e abitudini e di effetti, quindi un tesoro da salvaguardare. La Patria non è un’opinione. O una bandiera e basta. La Patria è un vincolo fatto di molti vincoli che stanno nella nostra carne e nella nostra anima, nella nostra memoria genetica. E’ un legame che non si può estirpare come un pelo inopportuno.

Gli americani dicono che si può. Per dimostrarlo rompono il vincolo, trasferiscono le vecchie bandiere nella bandiera a cinquanta stelle, e parlando un’unica lingua cioè la medesima lingua si innestano fra loro. Dimenticano la patria che hanno abbandonato, diventano americani. Io-sono-americano. Ma sebbene l’America sia un fenomeno irripetibile perchè sorto in un continente quasi vuoto, senza passato e senza vette di civiltà, viene sempre il momento in cui lo io-sono-americano torna ad essere io-sono-cinese o sono-italiano o sono-africano eccetera. Viene sempre il momento in cui un americano capisce che il vincolo non era rotto. Che anche parlando l’unica lingua ossia la medesima lingua pensa e sente nella lingua della patria abbandonata. Del resto anche l’Unione Sovietica tentò di fare ciò che vuol fare l’Unione Europea. Abolì le patrie e, incollando l’uomo di Mosca con l’uomo di Odessa, la donna di Pietroburgo con la donna di Samarcanda, creò una super-Patria. Un super-Stato, una super-Nazione. Ma appena l’ideologia comunista crollò, tutti si scollarono e ripresero le vecchie bandiere. Così a coloro che pretendono di ripetere in Europa l’irripetibile fenomeno americano dico: non ci riuscirete mai. La vostra super-Patria, il vostro super-Stato, la vostra super-Nazione tenuta insieme dall’ideologia del denaro e basta, si sfascerà come l’Unione Sovietica. Noi possiamo fare soltanto ciò che diceva mio padre, cioè una Grande Famiglia che ci impedisca di guerreggiare fra noi, ammazzarci fra noi come ci si ammazzava tra Firenze e Siena o durante la Prima e la Seconda Guerra Mondiale. (E non è poco). Il guaio è che nelle famiglie c’è sempre qualcuno che vuole comandare sugli altri, imporre la sua egemonia. Nonchè qualcuno che tradisce. Che porta in casa il nemico, che vende sè stesso e i propri figli e i propri fratelli al nemico. L’Europa d’oggi è proprio questo, così alla prima domanda rispondo: l’Europa che vorrei è tutto il contrario di ciò che è. E che continuerà ad essere finchè si sfascerà come un castello di carte, di bugie e di inganni.

Quanto alla seconda domanda, il discorso è breve. Perchè è un discorso che riguarda la mamma, e la mamma resta la mamma anche se si comporta male. Anche se partecipa al tradimento. Anche se ti fa soffrire. Così, e a costo di sembrare retorica o ingenua, rispondo: semplice, caro mio, semplice. L’Italia che vorrei è un’Italia che si oppone alle Italie in cui non mi riconosco: un’Italia ideale. Un’Italia coraggiosa, dignitosa, seria, un’Italia che non si consegna al nemico. Che non si lascia intimidire da chi spalanca le porte al nemico, che non si lascia ricattare o rincretinire dalle bestialità dei Politically Correct. Che va fiera della sua identità, che saluta la bandiera bianca rossa e verde mettendo la mano sul cuore non sul sedere. L’Italia, insomma, che sognavo quand’ero ragazzina e non avevo un paio di scarpe decenti ma credevo in un futuro migliore. E sai che aggiungo? Aggiungo che a pensarci bene quest’Italia non è un’Italia ideale. E’ un’Italia che nonostante tutto esiste. Zittita, ridicolizzata, sbeffeggiata, diffamata, insultata, ma esiste. Quindi guai a chi me la tocca. Guai a chi me la invade, guai a chi me la ruba. Perchè (se non l’hai ancora capito te lo ripeto con maggiore chiarezza) che a invaderla siano i francesi di Napoleone o gli austriaci di Francesco Giuseppe o i tedeschi di Hitler o i compari di Osama Bin Laden, per me è lo stesso. Che per invaderla usino i cannoni o i gommoni, idem.

Stop. Quello che avevo da dire l’ho detto. La rabbia e l’orgoglio me l’hanno ordinato. La coscienza pulita e l’età me l’hanno consentito. Ora basta. Punto e basta.

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